• martedì , 30 Aprile 2024

Un anno di guerra

di Dario Laruffa

Un anno di guerra in Ucraina, più un giorno. E l’unica certezza è che servirà un numero enorme di altri giorni prima che si possa arrivare alla pace.
Ora come ora, anche solo una tregua fra Russia e Ucraina sembra solo una speranza. In un anno sono morti 8mila civili e 13mila sono stati feriti, in pratica tutti ucraini. Sono morti 100mila militari ucraini e 200mila russi, stime di organismi delle Nazioni Unite, probabilmente inferiori al vero.

6mila bambini ucraini sono stati trasferiti a forza in Russia per essere adottati. Sono cifre orribili, da guerre novecentesche, eppure, non bastano a fermare le armi.
L’Assemblea generale dell’Onu ha votato una risoluzione per una pace “comprensiva, giusta e duratura”. Chiede il ritiro immediato e senza condizioni della Russia dall’Ucraina. Hanno votato sì 141 Paesi (su 193 stati membri). Un voto analogo si registrò al Palazzo di vetro il 2 marzo 2022, dieci giorni dopo l’invasione.

Si sono astenuti in 32, fra loro giganti come Cina, India, Sudafrica. Non hanno mai condannato l’invasione da parte di Mosca, con Mosca hanno continuato a fare affari e a Mosca hanno garantito appoggio diplomatico. La Russia è isolata dall’Occidente, ma non lo è nel mondo, una parte del quale vede l’invasione come problema principalmente americano ed europeo.

Una pace giusta non può mettere sullo stesso piano aggressore e aggredito. I Cinesi hanno avanzato una proposta in 12 punti, ma ripropone posizioni note e non garantisce una pace “giusta”.

Mette al primo punto il “rispetto della sovranità di tutti i Paesi”, ma cosa significa quando non chiedi il ritiro dei russi? E, non chiedendolo, parlare di “cessazione delle ostilità”, equivale solo a congelare la presenza delle truppe russe sulle attuali posizioni in terra altrui.
Da aggiungere la richiesta di Pechino di “stop alle sanzioni unilaterali”. Ovvero a quelle decise dagli americani e dai loro alleati.

Le sanzioni contro Mosca hanno sortito sinora meno effetto del previsto. L’economia russa sarebbe dovuta cadere del 13.5 per cento nel 2022, è caduta del 2.5. Questo soprattutto perché i russi hanno continuato a vendere petrolio e gas all’estero, principalmente a cinesi e indiani (che hanno goduto di un buon prezzo).

Quando tutte le sanzioni occidentali includeranno anche tecnologia civile utilizzabile a fini militari, (ora toccano in maniera estesa finanza ed energia) la musica sarà diversa. Le sanzioni rimangono, assieme alla fornitura militare, la via concreta di sostegno a Kiev.
Non ci si può, però, rassegnare a questa guerra. Una guerra nella quale gli ucraini sanno per cosa combattono e i coscritti russi delle repubbliche asiatiche mandati al macello, no.

Non si può sperare che Vladimir Putin si fermi. E’ emerso che la guerra, un anno fa, la decise da solo, scelta non comunicata, sino a cose fatte, in pratica a nessuno; eppure Putin, a quei tempi, non raccoglieva occhiate particolarmente ostili, almeno in Europa.
Non bastasse l’Ucraina, si guardi a cosa sta facendo in Moldova. Non considera sovrana questa repubblica, stretta fra Romania e Ucraina; in spregio di ogni diritto, manda le sue truppe nella zona russofona della Transnistria, alla ricerca di ogni pretesto per insediare un governo amico nella capitale Chisinau.

E’ prigioniero del sogno della “Grande Russia”, da contrappore a “Loro” gli occidentali, quelli che, dichiara, “permettono le nozze gay e sostengono la pedofilia”; il secondo assunto è chiaramente falso, si stenta, comunque, inoltre, a riconoscere il nesso fra omosessualità e pedofilia.
Ma, quando la situazione sul teatro di guerra sarà più favorevole agli ucraini, è con Putin che si dovrà trattare, magari metterlo sotto processo in un Tribunale speciale (purchè non sotto egida solo occidentale), ma prima si dovrà trattare.

Lo sa anche Volodymyr Zelensky, che per ora mostra ostinazione contro ogni compromesso. Il suo piano di pace in 10 capitoli è comprensibile e fondato, ma irrealistico, quando fissa fra i punti il ritorno all’Ucraina della Crimea, annessa illegalmente da Putin nel 2014. C’è chi indica proprio nella Crimea la linea rossa che Putin non permetterà mai venga valicata, pena la caduta nel disastro del disastro, ovvero, il ricorso al nucleare.

La pace è interesse di tutti, ma non per tutti è da raggiungere lungo le stesse vie. Lo dimostrano le mosse di Washington e Pechino, per ora sostanzialmente divergenti. Loro non sono sufficienti a dire “basta”, ma senza di loro non si potrà dire “ci fermiamo”.

“Che si fermino” è il desiderio dominante degli italiani. L’Italia ha speso, nel 2022, 450 milioni di euro nel sostegno all’Ucraina. L’ultimo sondaggio Ipsos per il Corriere della Sera riporta che il 49 per cento degli intervistati considera le conseguenze economiche l’aspetto più preoccupante del conflitto, quelle economiche, non quelle belliche o umanitarie.

Solo Il 7 per cento degli italiani si schiera dalla parte dei russi, il 47 è con gli ucraini, ma il 46 dichiara di non tenere per alcuna delle due parti, significa che non identifica chiaramente un aggressore e un aggredito.

Il nostro Parlamento ha votato la proroga del sostegno militare all’Ucraina sino a fine 2023. Il 34 per cento dei nostri connazionali è favorevole all’invio di armi a Kiev, ma il 45 per cento è contrario. Anche la maggior parte degli elettori del partito di Giorgia Meloni è contraria.

Qualche politico potrebbe insistere per tenere seriamente in conto questi umori, rilanciando ad esempio sui diritti delle minoranze russofone del Donbass.
I diritti delle minoranze sono sacrosanti, ma vanno definiti col dialogo e tutelati dalla tolleranza, non imposti con le armi e sanciti da referendum farsa.
Questo, dopo un anno di guerra, più un giorno.

(Il Nuovo Trentino, 09/02/2023)

Fonte: Il Nuovo Trentino, 09/02/2023

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