• lunedì , 14 Ottobre 2024

Quello che non si è detto sulle pensioni del pubblico impiego

Uno dei “pezzi forti” della manovra estiva in tema di pensioni lo dobbiamo all’Unione europea. La Commissione ha preteso che fosse anticipata al 2012 l’andata a regime (già prevista per il 2018) dell’equiparazione a 65 anni dell’età pensionabile di vecchiaia delle lavoratrici alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni. Così il Governo, nel maxi-emendamento presentato al Senato, ha deciso di affrontare e risolvere il problema.
Si stimano complessivamente interessate dal provvedimento circa 20-25mila lavoratrici (il numero è limitato perché tiene conto soltanto dei casi delle persone che non raggiungono i requisiti per il trattamento di anzianità e quindi non sono in grado di avvalersene), mentre le pensioni liquidate nei vari anni del periodo sono stimate pari a 300/400 nel 2012, 5mila/5,5mila all’anno nel biennio 2013-2014, 4mila all’anno nel biennio 2015-2016 poi gradualmente decrescente negli anni a seguire. Gli effetti finanziari ammonterebbero a 1,4 miliardi cumulati nell’arco temporale 2012-2019 (da destinare ad un Fondo strategico per interventi dedicate a politiche sociali e familiari con particolare attenzione ai problemi della non autosufficienza e della conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare delle lavoratrici). Ma quale è il contesto in cui interviene questa misura? Possiamo addentrarci, grazie alla “Analisi statistico-finanziaria dell’Inpdap per il 2009”, nell’universo poco conosciuto dei trattamenti pensionistici del pubblico impiego erogati dall’Istituto.
I dati complessivi
Nel mese di dicembre dello scorso anno l’Istituto ha messo in pagamento 2.690.513 pensioni per una spesa complessiva annua di 56 miliardi di euro (nel 76,5% dei casi si tratta di pensioni dirette con un importo medio di 23.227 euro). Il numero dei trattamenti del 2009, rispetto all’anno precedente, è aumentato dell’1,6%, mentre la spesa complessiva del 6,41%. Nel decennio 2000-2009 in valori assoluti la spesa è passata da 36,8 miliardi a 56 miliardi, a fronte di un incremento del numero delle prestazioni pari a 377mila. Il peso della spesa pensionistica del settore sul pil è stato, nel 2009, del 3,4%, superiore dello 0,3% rispetto a quello dell’inizio del decennio considerato. Sempre nel periodo in esame, si riscontra una non trascurabile incidenza (dello 0,8%) dell’aumento in termini reali dell’importo medio delle nuove pensioni liquidate. Infatti, il tasso medio di incremento dei trattamenti è pari a circa il 2,9% annuo mentre l’indice medio dei prezzi è cresciuto solo del 2,1%. L’incremento in termini reali è attribuito nel Rapporto all’aumento dei requisiti necessari per l’accesso alla pensione di anzianità che, comportando una maggiore anzianità contributiva, ha determinato anche un miglioramento delle prestazioni.
La situazione delle diverse Casse
Quanto alla ripartizione delle pensioni e della spesa tra le diverse Casse confluite nell’Inpdap (Cpdel: personale delle regioni ed enti locali; Cpi: insegnati di scuola materna; Cps: medici alle dipendenze del SSN; Cpug: ufficiali giudiziari ed ausiliari; Ctps: statali) vanno segnalati due grandi blocchi: 1,6 milioni di trattamenti sono erogati ai dipendenti delle amministrazioni statali (circa il 60% del totale) per una spesa di 35,6 miliardi (63,6% di quella complessiva) e con un importo medio annuo di 22.147 euro; 1 milione di assegni – pari al 37,5% per una spesa annua di 17,4 miliardi (31% di quella totale) e con un importo medio di 17.283 euro – è erogato ai dipendenti delle Regioni e degli EELL. L’importo medio annuo più elevato (45.586 euro) è quello dei medici iscritti alla Cps. E’ interessante osservare, all’interno della Cassa statali (Ctps), la ripartizione tra i vari comparti del numero delle pensioni e della spesa annua. Il comparto Scuola costituisce – quanto al numero dei trattamenti corrisposti – oltre il 53% dell’intera gestione con un importo medio di 20.456 euro. La spesa annua relativa (17,6 miliardi) è appena al di sotto del 50% di quella totale. A seguire, in ordine di consistenza numerica, si trovano i Corpi di Polizia e i Ministeri, ambedue i comparti con il 15,9%. I magistrati rappresentano la quota di minori dimensioni: lo 0,3% con 4.892 prestazioni erogate, 437 milioni di spesa annua, 89.291 euro d’importo medio annuo.
La ripartizione territoriale
Il 41% circa dello stock delle pensioni Inpdap è concentrato al Nord con una spesa annua di 22 miliardi (il 39,3% del totale nazionale) ed un importo medio di poco inferiore a 20mila euro. Le regioni con il maggior numero di pensioni in essere sono il Lazio (324.289) e la Lombardia (312.797). Nel Sud-Isole viene erogato il 35% dei trattamenti con una spesa di 19,8 miliardi di euro (35% del totale). L’importo medio è di 21mila euro. Nel Centro, è corrisposto il 23,8% delle pensioni per una spesa di 14 miliardi circa (il 25,2% del totale) ed un importo medio annuo di 22mila euro. Nel Sud-Isole prevalgono le pensioni degli statali (625mila), nel Nord quelle dei dipendenti degli EELL (circa 500mila).
L’analisi per genere
L’81,5% delle donne percepisce importi di pensione mensili inferiori a 2mila euro, il 16,8% si colloca tra 2mila e 3mila e appena l’1,7% al di sopra dei 3mila. Quanto agli uomini, meno del 6% è titolare di una pensione mensile inferiore a mille euro, l’83% si colloca tra mille e 3mila, mentre l’11% si attesta ad un livello superiore a 3mila euro. Lo stock delle pensioni in pagamento nel 2009 si ripartisce in misura del 42,1% ai lavoratori (1.131.748) e del 57,9% (1.558.720) alle lavoratrici (alle quali va anche l’87% delle pensioni ai superstiti). Rilevante è il differenziale tra uomini e donna per quanto riguarda l’importo medio delle pensioni dirette.
L’analisi per età
La classificazione per fasce di età mette in evidenza che circa il 70% dei pensionati ha un’età superiore a 64 anni. Approfondendo l’esame si può notare che:
a)fino a 49 anni si ha una prevalenza di pensionati diretti di sesso maschile dovuta alla forte presenza di persone provenienti dai comparti militari e delle Forze di polizia;
b)da 50 fino a 64 anni le pensionate sono in numero maggiore dei loro colleghi maschi per effetto sia delle norme più favorevoli previste prima della riforma del 1995 (le baby pensioni) sia della maggiore propensione a prepensionamento;
c)dai 65 anni in poi la presenza degli uomini torna ad essere prevalente con un crescente divario dopo i 75 anni malgaro la maggiore aspettativa di vita delle donne e la maggiore mortalità maschile. Il fenomeno è dovuto alla scarsa presenza delle donne nel mondo del lavoro pubblico (con eccezione della scuola) prima degli anni ’60.
Le nuove pensioni nel 2009
Con riferimento ai trattamenti sorti nel 2009 si nota particolarmente il differenziale di genere. Si tratta di una pensione media di 32.522 per i lavoratori e di 24.077 per le lavoratrici (il trattamento medio complessivo è pari a 27.892 euro). Sempre nel 2009 sono sorte 114.659 nuove pensioni nel complesso delle gestioni Inpdap. Il 64,4% sono a carico della gestione statali (in numero di 73.879), il 32,1% (36.793) a carico della Cpdel. Di significativo interesse risultano i dati riguardanti l’età media e l’anzianità media rilevate per le pensioni di anzianità e per quelle di vecchiaia. Le prime presentano un’età media di 60,1 anni ed un’età media di 36,9 anni; le seconde, rispettivamente, di 64,2 anni e di 35,2 anni.
Sequenza storica e conclusioni
Nel decennio 2000-2009 sono state erogate 491.927 pensioni di anzianità (con un forte incremento del loro numero a partire dal 2006), a fronte di 203.663 trattamenti di vecchiaia (e di 61mila assegni d’inabilità). Le modalità di pensionamento rispetto all’età si diversificano tra i due sessi. Il 38% degli uomini sceglie di lasciare il lavoro tra i 58 e i 61 anni contro il 64% delle donne. Raggiungono l’età dei 65 anni il 30% degli uomini e il 16% delle donne. Questi dati rendono testimonianza della validità della misura adottata grazie alla Ue.

Fonte: Occidentale del 6 settembre 2010

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