• sabato , 27 Luglio 2024

Il piano industriale è scordato

Bene ha fatto Napolitano a invocare “una seria politica industriale, nel quadro europeo e della libera concorrenza”. Gli ha fatto eco Mario Baldassarri, presidente della Commissione Finanza del Senato, (“Occorre una nuova politica industriale”), mentre il ministro Sacconi ha ammonito ricordando le “fallimentari politiche industriali di sinistra che nella seconda metà degli anni Settanta ebbero la pretesa di decidere quali settori fossero maturi e quali innovativi” (Corsera del 2 settembre).
Come abbiamo più volte richiamato su queste pagine, cerchiamo di allontanare lo spettro dei falliti piani di settore degli anni 70 e capire perché occorrono nuovi tipi di intervento pubblico capaci di rilanciare produttività e competitività (anche promuovendo aggregazioni e accordi cooperativi tra imprese troppo piccole per affrontare la mutata concorrenza internazionale), non tanto di tamponare le falle e distribuire incentivi a pioggia. Senza naturalmente escludere i preziosi incentivi fiscali e finanziari alla ricerca e sviluppo, sempre scarsi rispetto alla domanda delle imprese più dinamiche che per fortuna non mancano.
I quasi 200 “tavoli di crisi”, che nelle prossime settimane occuperanno al MISE il Sottosegretario Saglia, riproporranno la cosiddetta Programmazione negoziata sul territorio (“Accordi di programma”), volta ad affrontare situazioni di specifiche crisi aziendali che richiedono ristrutturazioni, chiusura di impianti o (si spera) acquisizione dei medesimi da parte di gruppi italiani o esteri interessati. Si tratta fondamentalmente di salvataggi dell’esistente, a cui concorrono in vario modo Regioni, Comuni ed Enti locali offrendo infrastrutture, servizi, eventuali agevolazioni al decollo di nuove produzioni (magari nel nobile intento della “green economy”). Resta fermo che nessun denaro viene erogato all’azienda in crisi. Bene, ma restiamo sul terreno dell’emergenza, segnata spesso dallo scadere imminente della Cassa integrazione, più che della politica industriale volta a stimolare l’investimento nelle filiere tecnologiche più innovative e alla relativa conquista di nuovi mercati.
A simile scopo mira il nuovo Fondo di salvataggio e ristrutturazione (60 milioni di euro), operativo dallo scorso 1° luglio, che consente l’emissione di garanzie statali sul debito bancario di imprese che abbiano elaborato un convincente piano di ristrutturazione. Se lo strumento verrà bene utilizzato, con garanzie non escusse che avranno favorito l’accesso al credito per investimenti ben concepiti e realizzati, alla fine banche e imprese saranno felici senza oneri per la finanza pubblica. Speriamo.
Garanzie e controgaranzie alle banche, con il concorso dei vari Confidi locali, sono pure al centro del Fondo varato con legge 662/96, ma operativo dall’inizio del 2009, che dispone di un cospicuo fondo di dotazione (1,5 miliardi fino al 2012, importo massimo garantibile 1.5 milioni di euro). Data la sua impostazione, difficilmente questo strumento si differenzierà dai classici incentivi a pioggia.
Continuano naturalmente a operare i meccanismi dell’Amministrazione straordinaria per le grandi imprese in crisi, formula concepita per aggirare le secolari e ingessate procedure fallimentari (legge Prodi 95/79 rivista nel 1999, legge Marzano 39/2004 con soglia minima elevata a 500 addetti, caso Alitalia). Il flusso di domande dell’ultimo biennio è preoccupantemente in forte crescita. Attualmente sono aperti 35 casi (inclusa Parmalat, Burani, Ittierre, Tirrenia ecc.) che coinvolgono circa 25.000 addetti. Siamo di nuovo a tamponare le emergenze, quando non a coprire paurosi vuoti di efficienza.
Non risulta invece ancora operativo il nuovo Fondo per le PMI, disegnato dal MEF con il concorso della Cassa DD.PP, di banche e altri soggetti privati. E’ certamente uno strumento innovativo, che prevede anche l’assunzione di quote di capitale, rafforzando la struttura patrimoniale di imprese in crescita, sperabilmente promuovendo anche forme di aggregazione tra imprese troppo piccole per competere energicamente sul mercato.Vedremo.
Temo invece sia destinato a lenta estinzione “Industria 2015”, l’unico programma di vera “politica industriale attiva”, concepito con una forte partecipazione “bottom up” delle imprese più innovative e inizialmente garantito da responsabili di progetto a prova di mercato più che di “politica”. Varato dall’ultimo governo Prodi-Bersani, l’attuale governo ha varato i primi due progetti (Efficienza energetica, Mobilità sostenibile) sui cinque previsti, con fondi tagliati e ritardo nelle erogazioni già approvate, e promettendo un (poco credibile?) rinvio al futuro per altri tre progetti (Tecnologie innovative per il Made in Italy e per i beni culturali, Scienze della vita).

Fonte: Sole 24 Ore del 5 settembre 2010

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