• sabato , 27 Luglio 2024

I tassi e il vuoto politico di Eurolandia

Ormai è chiaro: il “mostro” della “crisi-videogame” che (giustamente) preoccupa il ministro Tremonti ha sembianze europee. E si muove in quel vuoto che è lo scenario politico di Eurolandia, non nei mercati finanziari. Gli speculatori hanno chiuso la prima settimana dell’anno facendo il botto sul mercato dei titoli di Stato: nella classifica dei tartassati – ora potremmo usare l’acronimo BIGISP, sul cui significato tra la prima parte (big) e la seconda può scatenarsi la fantasia – la Grecia è sempre in testa (970 punti lo spread con i bund tedeschi decennali, 1034 il livello dei cds, indicatore del rischio di insolvenza del debito pubblico), seguita da Irlanda (617-646), Portogallo (420-534), Spagna (260-355), Italia (195-252) e Belgio (124-249). E hanno preparato il terreno in previsione delle aste della prossima settimana, quando dovranno essere piazzati una cinquantina di miliardi di bond, di cui 7 miliardi di Bot italiani e un po’ di Btp a cinque e 15 anni. Quel che preoccupa maggiormente non è la domanda ma i tassi: sarà la quantità di rialzo del rendimento – nessuno scommette su ribassi – a stabilire il successo o il fallimento di ciascuna emissione.
Ma è ormai chiaro che se il terreno su cui si muovono i grandi traders è agevole, la responsabilità è dell’Europa. D’altra parte, potrebbe mai funzionare un sistema in cui a fronte di una moneta unica, e anche di un mercato tendenzialmente unico, ci sono 17 Stati (con l’Estonia) e banche nazionali o al massimo pluri-nazionali che agiscono in condizioni diverse se non divergenti? Il problema è che non funziona sia per chi, come la Grecia, è esposto sul piano del debito pubblico che si fatica a ripagare, sia per chi, come Irlanda e Portogallo, ha banche ormai di fatto di proprietà dei creditori stranieri. Queste, finché riescono a reggere sui prestiti a tassi Euribor dalla Bce, stanno in piedi, poi devono essere salvati con soldi pubblici (che non ci sono). E qui scatta la doppia contraddizione: da una parte Trichet che avverte che non metterà all’infinito liquidità laddove manca, e dall’altra i membri del club dell’euro, che avendo condizioni economiche e finanziarie, e dunque interessi, contrastanti, non trovano accordi per intervenire in modo strutturale. Non è colpa della Merkel o di Sarkozy, ma di chi ha fatto l’euro senza fare gli Stati Uniti d’Europa e di chi ora non trova la forza per recuperare il tempo perduto. Possono essere gli eurobonds a riempire questo buco? Sulla carta sì, ma solo per il debito nuovo relativo agli investimenti continentali. Sul debito vecchio il consenso non ci sarà mai, inutile illudersi. Altri dicono: basterebbe che la Bce copiasse la Fed, perché quando in condizioni estreme i mercati non sono in grado di esprimere i prezzi, e nemmeno l’offerta di liquidità a breve e gli annunci sul futuro (deficit spending) funzionano, occorre un autorità terza fissi esogeneamente il prezzo delle attività finanziarie in circolazione, e quindi il valore netto delle banche. Ma nell’Europa degli Stati sovrani, la Bce non lo potrà mai fare. E allora? Intanto stringiamo bene le cinture, che il momento è davvero difficile.

Fonte: Il Messaggero del 9 gennaio 2011

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