Il sito «irrinunciabile» per 800 milioni di utenti e l’ipo in Borsa.
La società dei miracoli del genio di Harvard Mark Zuckerberg che ha trasformato un sito universitario in una rete planetaria capillare e insostituibile paragonata (con un po’ di enfasi) all’invenzione del telefono, diventa adulta. L’IPO, l’offerta di azioni con la quale Facebook potrebbe annunciare oggi il suo sbarco in Borsa, promette di essere l’evento finanziario dell’anno. Wall Street aspetta l’«initial public offering» col fiato sospeso chiedendosi se davvero, come si vocifera, Morgan Stanley riuscirà a soffiare a Goldman Sachs il ruolo di «capocordata» dell’operazione. Altri sono curiosi di vedere quale formula verrà scelta dalla società: un collocamento classico nel quale Facebook si lascia guidare dalle banche o una formula più «autogestita» come quella sperimentata, con poco successo, da Google nel 2004?
Vedremo se, come ha scritto qualche giornale finanziario, Zuckerberg cercherà di raccogliere sul mercato 10 miliardi di dollari (sarebbe, per entità, il quarto collocamento della storia dopo quelli di Visa, General Motors e AT&T Wireless), attribuendo alla società un valore di circa 100 miliardi di dollari. L’annuncio dell’operazione, che dovrebbe partire tra aprile e giugno, era ipotizzato ancora ieri sera per stamani, anche se non venivano esclusi inconvenienti tecnici dell’ultimo momento o una richiesta di rinvio da parte dell’autorità di vigilanza. Quando presentano la loro richiesta alla SEC (la Consob americana), le aziende sono, infatti, tenute alla riservatezza. Un obbligo che, secondo alcuni, sarebbe stato parzialmente violato dal direttore generale della società, Sheryl Sandberg, con le (peraltro caute) dichiarazioni rilasciate domenica scorsa al Forum di Davos.
Ma, al di là della «suspense» finanziaria, per i suoi 800 milioni di utenti e per chi cerca di misurare l’impatto di questa rete sulla società e sull’economia conta di più capire come questa quotazione cambierà la cultura di un’impresa che, per il suo nuovo quartier generale a Menlo Park, ha scelto come indirizzo 1 Hacker Way.
Non è un caso se Facebook arriva all’appuntamento con la Borsa dopo società della galassia digitale più giovani o meno rilevanti come LinkedIn, Groupon e Zynga: Zuckerberg ha resistito fino all’ultimo temendo di perdere, nel processo di «istituzionalizzazione» della società, la carica giovanilistica e un po’ piratesca che è stata fin qui la chiave del suo successo: una corsa a perdifiato costruita sulla capacità di un pugno di ingegneri di avanzare più velocemente dei concorrenti, sbagliare e correggere gli errori senza mai fermarsi. Arrivando occasionalmente anche a prevaricare i diritti alla «privacy» degli utenti fino a finire nel mirino della Federal Trade Commission con la quale ha patteggiato una condanna appena due mesi fa.
Zuckerberg non ha alcuna intenzione di cedere la guida operativa della società ad un «manager adulto», come fecero i fondatori di Google, Larry Page e Sergey Brin, quando scelsero Eric Schmidt come amministratore delegato (Schmidt l’anno scorso ha restituito le funzioni gestionali a un Page ormai «maturo»). Ma Facebook non è nemmeno una società di «dilettanti allo sbaraglio».
Zuckerberg ha, ad esempio, preso da Google il capo delle tecnologie, Bret Taylor, e la stessa Sandberg.
Il 27enne Mark ha, poi, costruito un ponte tra vecchi e nuovi «media» creando uno stretto rapporto col capo della società che controlla il Washington Post : Donald Graham, di quarant’anni più vecchio di lui, lo consiglia e siede al suo fianco nel «board» di Facebook. Ma l’impronta resta quella di Zuckerberg che a un certo punto ha messo in rete anche storie e immagini personali, i segreti del suo privato, pur di battere una cultura della «privacy» che, dice, è nemica della trasparenza che deve regnare in rete. Una riservatezza che ostacola quella registrazione di dati personali degli utenti (abitudini, letture, gusti, consumi, capacità di spesa) preziosissimi per chi deve vendere i suoi prodotti. E che è, quindi, pronto a pagare qualunque cifra per averli.
Eppure, nonostante sia evidente la forza di Facebook sia come veicolo per la pubblicità che come piattaforma di raccolta dati, nessuno sa, ancora, se e quanto la società di Zuckerberg sia redditizia. Si sa solo che ha tremila dipendenti e che gli analisti stimano in 3,8 miliardi di dollari le entrate pubblicitarie del 2011.
Cifre che esploderanno in futuro perché Facebook – che a fine anno avrà un miliardo di utenti, un settimo della popolazione del Pianeta – è ormai un mezzo di comunicazione insostituibile per larghi strati della popolazione: lo strumento che in molti gruppi sociali ha sostituito non solo il telefono ma anche l’email, il giornale, la pubblicità televisiva, la ricerca su Google: tutto, dalle notizie ai consigli per gli acquisiti, si ottiene interrogando la rete degli «amici». Durerà? Molti analisti giurano di sì. Anche se le nuove procedure più rigide introdotte col formato Timeline hanno scontentato molti utenti. Diversi di loro a parole si dicono pronti a emigrare altrove, ma è difficile trasferire in blocco una comunità di amici su un’altra rete sociale. E tuttavia nel mondo digitale tutto evolve molto in fretta: Aol e Yahoo!, che pochi anni fa sembravano onnipotenti, oggi arrancano ai margini del mercato. E Google+, la nuova rete sociale di Page e Brin (che preferiscono parlare di «progetto sociale») è passata in tre mesi da 40 a oltre 90 milioni di utenti.
Facebook si quota a Wall Street
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