• martedì , 14 Maggio 2024

Altruista o opportunista? Il “volunteer” americano

La beneficenza nei Paesi anglosassoni è una tradizione consolidata. Gli studenti , però, lo fanno soprattutto per migliorare il curriculum.
Domenica a Riverside Drive, il parco stretto tra le rive dell’Hudson e l’omonima strada che costeggia il fiume, nella parte settentrionale di Manhattan. Gruppi di ragazzi, e soprattutto ragazze, lavorano duro non solo per ripulire la zona verde da immondizia e sterpaglie dopo giorni di piogge torrenziali, ma anche per risistemare, con ghiaia e trucioli di legno, i vialetti deformati o spaccati da acqua e cascate di fango. Sono giovani ma ci sono anche persone di mezza età: volontari che arrivano con motivazioni diverse, anche se i più sono abitanti della zona, interessati a tenere in ordine il polmone verde del quartiere. Altruismo, cura del bene comunque: è la tradizione anglosassone del volontariato. La pratica del lavoro gratuito per la collettività è molto diffusa negli Stati Uniti: il Paese nel quale perfino la beneficenza riesce a diventare industria, grazie anche ai massicci sgravi fiscali concessi alle fondazioni filantropiche. Secondo le statistiche governative, ben 65 degli oltre 300 milioni di americani si impegnano almeno una volta all’anno in un’attività di volontariato.
SE IL VOLONTARIATO FA CURRICULUM – Il fenomeno, però, da un po’ di tempo sta lentamente perdendo quota, soprattutto tra i giovani. Anche la sua natura sta cambiando. Sulle motivazioni non ci sono statistiche specifiche, ma vari studi come quello che l’università del Wisconsin ha condotto nei licei della contea di Madison, indicano che gli studenti fanno volontariato, più che per altruismo, per migliorare il loro curriculum in vista della possibile ammissione a un’università blasonata.
PEACE CORPS E AMERICORPS – Il volontariato è diffuso soprattutto tra gli studenti del «college» e tra gli universitari che possono contare anche su programmi federali che esistono da decenni e che servono a reclutare giovani pronti a dare il contributo filantropico all’estero (con i Peace Corps), all’interno degli Stati Uniti (AmeriCorps) o, nel caso di giovani già laureati, pronti a un anno d’insegnamento fatto su base volontaria. In cambio ottengono un rimborso delle spese e alcune migliaia di dollari in buoni studio da spendere per le specializzazioni. Nei licei è tutto più difficile anche per i problemi legali che si pongono quando a lavorare sono ragazzi non ancora maggiorenni. Ma poi ogni amministrazione si regola a suo modo e in molti casi anche gli studenti delle superiori si impegnano in attività a basso rischio che garantiscono loro qualche credito formativo. Ad esempio nei licei per le famiglie del personale militare che sorgono all’interno delle basi dell’Air Force c’è l’abitudine di retribuire i lavoro volontario dei ragazzi con quattro dollari l’ora: non banconote vere ma denaro virtuale da spendere poi per pagare i costi dell’università.
ALTRUISMO O OPPORTUNISMO? – Curiosamente mentre in Italia si tenta un rilancio, al di là dell’Atlantico le «vocazioni» diminuiscono: oggi sono poco più di un quarto (26,1%) i giovani americani attivi in questo campo. Più donne che uomini (29 contro 23 per cento rispettivamente). Erano il 31,2 per cento nel 2005, l’anno dei record. Poi il declino: meno altruismo, più attenzione al curriculum. Molti scuotono la testa, ma sono fenomeni figli dei tempi: «l’ossessione per l’arricchimento del “resumé” scolastico è solo uno dei sintomi della straordinaria pressione subita dagli studenti per ottenere l’accesso a una delle accademie migliori», sostiene uno degli autori dell’indagine della Wisconsin University. Ma il volontariato, in una forma o nell’altra, rimane uno dei caratteri distintivi della cultura americana.

Fonte: Corriere della Sera del 19 ottobre 2013

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