• mercoledì , 9 Ottobre 2024

Caccia ai beni del Colonnello: l’Italia ritira fra i 6 e i 7 miliardi

I rapporti L’ Italia è il primo esportatore in Libia, che è il quinto in graduatoria fra i nostri Paesi fornitori con il 4,5% sul totale.
La cifra la diffonde il rappresentante permanente italiano presso le Nazioni Unite, l’ ambasciatore Cesare Maria Ragaglini. I beni di Gheddafi e di altre società libiche a lui facenti capo, congelati dall’ Italia a seguito della risoluzione Onu e alle disposizioni del Consiglio Ue, ammontano a 6-7 miliardi. Ragaglini non fornisce altri particolari ricordando che la regia dell’ operazione la cura il Comitato per la Sicurezza finanziaria del ministero dell’ Economia. Che ha messo sotto stretta osservazione l’ intricata rete di interessi e investimenti libici nel nostro Paese. La sanzione del congelamento è scattata subito e forse la cifra data dall’ ambasciatore all’ Onu potrebbe risultare alla fine delle verifiche sui beni della famiglia del Raìs anche sottovalutata. Innanzitutto, e si tratterebbe di un valore attorno ai 2 miliardi di euro, sono stati bloccati azioni, depositi e fondi in Unicredit, dove la Central Bank of Lybia e il fondo sovrano Lybian Investment Authority posseggono assieme circa il 7,5% del capitale. I titoli e gli altri asset congelati sarebbero detenuti in Lussemburgo, Usa e in parte minore in Italia. Si aggirerebbero poi attorno a 2,4 miliardi di euro, i fondi della Banca centrale libica su cui si è abbattuto lo strale dell’ asset freeze dell’ Onu mentre un altro gruppo di beni bloccati riguardano un fondo Ubae e la stessa quota di capitale (49,93%) della banca a capitale misto italo arabo posseduta dalla Lybian Foreign Bank e sottoposta ad amministrazione straordinaria dalla Banca d’ Italia qualche giorno fa. Ubae è nata nel 1972 per regolare i rapporti commerciali tra Roma e Tripoli: nel suo azionariato accanto alla maggioranza detenuta dalla banca libica figurano diversi soci italiani quali Unicredit, Mps, Eni, Telecom e Intesa Sanpaolo. A questi beni si aggiunge la quota libica nella Juventus, pari al 7,5% in mano sempre alla Lybian Foreign Bank. Infine, a quel che si è appreso, sarebbe stata congelato anche un cospicuo ammontare in contanti. L’ operazione, comunque, continua ed è anzi destinata ad inasprirsi la prossima settimana. La lente potrebbe arrivare alla rete di attività della Tamoil, la multinazionale che estrae in Libia. Tra gli investimenti del Raìs e delle società di Stato libiche in Italia ci sono poi il 2,01% in Finmeccanica detenuto dal Lia e meno dell’ 1% dell’ Eni. Infine ci sono la partecipazione in Olcese e quella, pari al 14,8%, di Lybian Post in Retelit, operatore Tlc specializzato nella fornitura di servizi a banda larga a enti e aziende. Ma al di là dei singoli interessi in banche e società italiane la Libia si colloca al quinto posto nella graduatoria dei Paesi fornitori dell’ Italia, con il 4,5 % sul totale delle nostre importazioni, mentre il nostro Paese rappresenta il primo esportatore, che ricopre circa il 17,5% delle importazioni libiche, con un interscambio complessivo stimato nel 2010 di circa 12 miliardi di euro. La Libia risulta essere il primo fornitore di greggio e il terzo fornitore di gas per l’ Italia. Il nostro è il terzo Paese investitore tra quelli europei (escludendo il petrolio) e il quinto a livello mondiale. L’ importanza che il mercato libico riveste per il nostro Paese è dimostrata anche dalla presenza stabile in Libia di oltre 100 imprese italiane.

Fonte: Sole 24 Ore del 21 marzo 2011

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