• martedì , 3 Dicembre 2024

Un pericoloso corto circuito

L’Europa piacerà sempre meno a quelli che dovrebbero essere i suoi cittadini, se continuerà a funzionare in modo tanto contorto. Forse il no ai fondi per l’Emilia terremotata era soltanto una mossa tattica all’interno di un arcano mercanteggiamento.
Ma diventa sempre più difficile spiegare alla gente che cosa accade; anche perché, altre volte, il diniego di solidarietà da parte di alcuni Paesi c’è davvero.
Tutto il negoziato sul bilancio dell’Unione europea si trascina a sussulti di intricatissimi do ut des tra burocrazie nazionali, capaci di annoiare pressoché chiunque. Dentro ci sono problemi veri, come la posizione della Gran Bretagna, come il rapporto tra l’Unione a 27 (presto 28), e l’area euro avviata a integrarsi di più se vuole sopravvivere; problemi che a nessun governo al momento conviene evidenziare come tali.
Solo una piccola quota del denaro dei cittadini viene spesa dall’Unione, il cui bilancio totale è circa un sesto di quello del solo Stato italiano; e va ricordato (specie al Nord del continente) che il nostro Paese versa assai più di quanto riceva. Comunque sia, non si può più decidere così quali sono le priorità, in negoziati dove perlopiù i diplomatici si destreggiano a cercare compromessi tra differenti misture nazionali di interessi costituiti.
Pezzo a pezzo, negli anni, si è costruita una struttura che spesso per funzionare richiede di dire una cosa per farne un’altra. Ad esempio la Commissione di Bruxelles sa benissimo che ulteriori dosi di austerità non sarebbero tollerabili, ma è costretta a fare la faccia feroce per evitare che i politici di certi Paesi ritornino ai vecchi vizi. Il recente richiamo all’Italia, sugli impegni anche dopo il 2013, è rivolto a chi vincerà le elezioni; quando perfino il governo tecnico ha qualche difficoltà a centrare l’obiettivo 2012 (i dati sui conti del Tesoro in ottobre non sono granché buoni).
Tutto questo andrebbe ripensato alla radice. Certe menzogne demagogiche contro l’Europa – strumento del sopruso di alcuni Paesi, veicolo di spietati progetti oppressivi, o altro a seconda dei gusti – sono possibili grazie all’oscurità del disegno di insieme. E se il Parlamento europeo continuerà ad avere poteri tanto scarsi, come convinceremo nel 2014 gli elettori ad andare alle urne? Che autorità ha un governo (la Commissione di Bruxelles) in cui non solo la scelta dei membri, ma anche parte dell’articolazione dei dicasteri, derivano da faticose alchimie di vertice tra Stati?
Solo con poteri chiaramente attribuiti, trasparenti, legittimati, l’Europa può riconquistare fiducia. Il guaio è che oggi siamo di fronte a un corto circuito pericoloso. La Germania chiede passi avanti verso l’unione politica perché solo una effettiva cessione di sovranità da parte degli Stati può permettere più solidarietà tra le nazioni. La Francia ribatte che solo una crescente solidarietà da subito può invogliare alla cessione di sovranità. I due governi hanno a che fare con elettorati in modo diverso riluttanti.
E’ normale che i cittadini di diversi Paesi abbiano priorità differenti. Quello che non si può più fare è affidare il compito di conciliarle soltanto ai rapporti di vertice tra governi o, peggio, a un equivalente diplomatico del mercato delle vacche. Occorre un’arena pubblica in cui chi desidera rappresentare i cittadini si misuri con la necessità di spiegarsi a nazioni diverse, e presenti programmi capaci di essere intesi in tutte le lingue. Già da adesso, in vista del rinnovo del Parlamento europeo nel 2014, non basta che i partiti di ciascun Paese competano su come meglio rappresentare quel Paese a Strasburgo; servono liste europee in gara per esprimere sulla scala dell’Unione le idee di ogni parte politica.

Fonte: La Stampa del 10 novembre 2012

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