• venerdì , 11 Ottobre 2024

Politica e declino, le occasioni mancate di quattro governi

Tante promesse in campagna elettorale, ma poi le crisi non sono state affrontate
L’Italia è l’unico Paese avanzato dove lo sviluppo si è fermato. Diventiamo più poveri. Ecco come la politica non ha saputo reagire nel corso nelle ultime quattro legislature.
2001
Un «nuovo miracolo economico» è la promessa di Silvio Berlusconi: meno fisco con tagli alle spese. In realtà le tasse le ha già calate molto il precedente governo di centro-sinistra, l’Amato 2. Occorrerebbe domandarsi come mai elargire 24.200 miliardi di maggior deficit (12,5 miliardi di euro) non solo non ha impedito la vittoria del centro-destra, ma nemmeno ha impresso un impulso significativo all’economia; invece niente. Tutti i poteri costituiti nonché le lobbies appoggiano il Cavaliere: si può intuire che la spesa pubblica aumenterà e che non si faranno più privatizzazioni. Così infatti avviene. In capo a tre anni, l’economia italiana rallenta sempre più mentre il mondo, superato in breve lo shock delle Torri gemelle, avanza a gonfie vele. Tremonti, messo sotto infrazione dall’Europa per il deficit, perde il posto di ministro dell’economia. Anche in Germania ci sono difficoltà; poi all’improvviso si scopre che lì un governo di sinistra ha avuto il coraggio di riformare lo Stato sociale e di liberalizzare, cosicché dopo lunghi anni di sacrifici la crescita riparte. Da noi gli industriali, dopo aver calorosamente sostenuto il centro-destra, si domandano quali vantaggi ne hanno ricavato.
2006
Romano Prodi in campagna elettorale fa tre distinte promesse: ridistribuire ricchezza a favore dei redditi bassi; ridare competitività alle imprese per stimolare la crescita; risanare la finanza pubblica. Già sarebbe stato arduo realizzare tutte e tre insieme in condizioni normali; diviene impossibile dopo una vittoria di strettissima misura. La manovra economica 2007 infatti scontenta tutti. Le imprese ottengono un limitato sollievo senza che vengano affrontati i problemi di fondo. Tommaso Padoa-Schioppa riesce a raddrizzare i conti dello Stato al prezzo di grande impopolarità; poi deve subire la controriforma delle pensioni concordata con i sindacati, che scarica nuovi oneri sugli anni futuri.
2008
E’arrivata la crisi finanziaria mondiale: Tremonti si vanta di averla prevista da anni, Berlusconi assicura che non riguarda noi. Dopo il fallimento di Lehman Brothers, tutti i Paesi del mondo varano misure di sostegno all’economia; il superministro sa che l’Italia non ha i soldi per permettersele e le evita, scelta che tutto il resto del Pdl non gli perdonerà mai. Per ingraziarsi un elettorato vecchio, che pensa a tenersi stretti i patrimoni più che alla crescita economica, il centro-destra dopo aver fatto centro anni prima sull’imposta di successione, toglie l’Ici dalla prima casa. Quando matura la crisi dell’euro Berlusconi non ne può più di Tremonti, e gli altri governi europei di tutti e due (ai vertici il ministro dell’Economia o fa le bizze o non sta attento). Aumento dell’evasione fiscale da un lato, cassa integrazione dall’altro proteggono i vecchi; i giovani subiscono. L’Italia riesce ad evitare il contagio degli altri Paesi deboli fino a metà del 2011, poi grazie anche al bunga-bunga precipita; a novembre rischiamo il crack. Ovviamente se le medicine vengono somministrate tardi, occorre prenderle in dosi da elefante, e gli effetti collaterali sono rischiosi.
2013
Si evita la catastrofe ma si entra in una nuova recessione. Quasi tutto il peso dell’impoverimento del Paese è scaricato sui giovani, che si vendicano votando Beppe Grillo. Ma in fondo il messaggio del Movimento 5 stelle parla anche ai vecchi: dividiamo meglio quello che abbiamo, campiamo con quello che c’è finché dura, niente grandi opere, consumiamo prodotti locali, insomma al declino occorre rassegnarsi. La borghesia responsabile non risponde all’appello di Mario Monti, forse perché non esiste. A combattere l’evasione fiscale di sicuro non ci proverà più nessuno, dopo la travolgente popolarità delle parole d’ordine contro Equitalia e contro il redditometro.

Fonte: La Stampa del 6 marzo 2013

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