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Scaroni:”Così ci siamo spiegati con l’America”

L’amministratore delegato di Eni sui dossier più delicati «Idee diverse, mai divergenti: vincente la trasparenza»
Per prima cosa Paolo Scaroni disinnesca la mina Wikileaks. «I documenti che abbiamo letto – dice – erano le opinioni di qualche funzionario, certo non rappresentavano la voce degli Stati Uniti». Con i quali, assicura l’amministratore delegato dell’Eni, «abbiamo sempre avuto un rapporto di trasparenza, e non di sudditanza, che alla fine si è dimostrato vincente». Ora che l’ambasciatore americano a Roma David Thorne proclama «la fase di dialogo costruttivo» fra Washington e il colosso energetico, il top manager assicura che sui temi delicati, soprattutto Iran e Russia, «ci sono state idee forse diverse, ma mai divergenti».
Cominciamo da Teheran. Washington voleva la fine di ogni rapporto e voi siete restati. Un problema, vero?
«La nostra presenza in Iran è storica. Quando sono scattate le sanzioni avevamo due contratti, uno del 2000, l’altro del 2001. Dovevamo rispettarli, anche se questo ci poneva in una situazione complicata».
Cosa avete fatto?
«E’ stata scelta la trasparenza. Siamo andati a spiegarci apertamente al dipartimento di Stato e al ministero del Tesoro. Non abbiamo abbassato la testa. L’Eni si è allineata immediatamente alle decisioni prese da Ue e Italia. Gli Stati Uniti non hanno autorità su di noi. In dicembre una lettera da Washington ci ha informato di non essere stati inclusi nella lista nera di chi violava l’embargo. Ecco che la trasparenza aveva pagato».
E la Russia? Vi hanno definito la seconda Farnesina..
«Anche questo era un capitolo delicato perché con Mosca dialoghiamo sin dagli Anni 60, in piena Guerra fredda. Pensi che nel mio ufficio ho una foto di Enrico Mattei col premier russo Aleksej Kossighin. Quando Gazprom ci ha contattato per costruire South Stream, una pipeline che arrivasse in Europa evitando Paesi di transito, l’abbiamo ritenuta una buona opportunità per l’Eni, per l’Italia, e per la stessa Ue. Anche l’allora ministro Bersani era favorevole. Si trattava d’un progetto che ci consentiva di fare meglio il nostro mestiere, ovvero fornire gas ai nostri clienti europei».
A Washington c’è chi ha visto in South Stream l’antagonista del Nabucco.
«Non lo è, non hanno nulla in comune. Lungo il Nabucco dovrebbe correre gas non russo, dunque azero, turkmeno, forse iracheno. Il South Stream punta a portare altre risorse, che altrimenti passerebbero in Ucraina, direttamente in Europa. Ne abbiamo parlato anche con Richard Morningstar, consigliere Usa per il Caspio. Ci ha compreso. Il messaggio di Thorne lo dimostra».
Siete stati in Azerbaigian. Era un segnale per gli Stati Uniti?
«Lavoriamo da tempo all’ipotesi di portare il gas turkmeno compresso attraverso il Mar Caspio. Abbiamo avuto contatti a ogni livello. Nell’ottica americana, immagino che il vederci impegnati a studiare altre soluzioni oltre a South Stream contribuisca a chiarire che la nostra posizione è puramente commerciale, aperta a ogni ipotesi».
Pare che i russi abbiano arricciato il naso…
«Nessuna tensione. Una delle possibilità è che il progetto sia fatto in collaborazione con Gazprom. Prima, però, ci sono problemi tecnici e politici da risolvere, date anche le relazioni fra turkmeni e azeri». GEOPOLITICA «Chi era satellite politico di Mosca è rimasto tale almeno dal punto di vista energetico»
Nuovi viaggi oltre Oceano?
«C’è un appuntamento a fine gennaio. I rapporti sono solidi e frequenti, è questione di trasparenza. Quando ci sono temi sensibili preferiamo spiegarli noi piuttosto che altri».
Thorne accenna a una convergenza fra i gasdotti South Stream e Nabucco. Un’idea che lei sostiene da mesi, confermano a Bruxelles.
«C’è una parte “a terra” che potrebbe farli viaggiare paralleli, dalla Bulgaria in su. Un anno fa avevo pensato che si potessero ridurre gli investimenti con un tratto comune. Poi il tema è morto, perché il Nabucco non mi sembra avanzi. Non si può essere sinergici con chi non esiste».
Bruxelles sostiene che il Nabucco è prioritario perché porta e riduce la dipendenza dalla Russia. Che ne dice?
«La dipendenza dell’Europa dal gas russo è molto diminuita. Vent’anni fa eravamo al 70%, oggi siamo intorno al 30, grazie anche all’Eni e alle connessioni con Libia, Algeria e nel Mare del Nord. Il problema vero è un altro».
Quale?
«In Europa ci sono 5 o 6 Paesi dipendenti totalmente dal gas russo. E’ un fatto storico. Ma è anche colpa dell’Ue che non ha impostato una vera politica per le interconnessioni. Quando l’inverno scorso la Bulgaria rimase senza gas, per l’ennesima crisi russo-ucraina, in Italia e in altri Paesi ne avevamo in abbondanza. Ma era impossibile farlo arrivare fino in Bulgaria senza una rete di gasdotti comune. Chi era satellite politico di Mosca è rimasto satellite dal punto di vista energetico. Nessuno a Bruxelles ha mai voluto veramente occuparsi di creare un sistema di gasdotti europei».

Fonte: La Stampa 11 gennaio 2011

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