• sabato , 27 Luglio 2024

Riforme, ma quali? Perche’ il mondo va in ordine sparso

Il momento peggiore forse è passato, ma il pericolo resta
dato che non sono stati risolti né i problemi finanziari
né quelli reali. E manca una politica comune. Anche quel
che fa il governo non è quello che chiedono gli imprenditori.
II dramma è scongiurato, ma il pericolo resta: questa è la diagnosi emersa dal Workshop Ambrosetti sulla Finanza a Cernobbio. Esistono diversità di interpretazioni sul perché si debba mantenere l’allerta: alcuni la vedono nella decelerazione dello sviluppo dei Paesi emergenti, ancorché questo resti elevato rispetto ai Paesi di vecchia industrializzazione; altri nelle incertezze manifestate dalla ripresa americana e altri ancora nell’Europa perennemente in affanno nel perseguire la crescita, ma ricca di iniziative per la stabilità fiscale. Su tutti pesano gli squilibri nei bilanci pubblici e nei conti con l’estero, anche se essi hanno registrato una significativa contrazione, ma la diagnosi di consenso è che i Paesi in deficit di bilancia estera hanno problemi di competitività che non riescono a compensare con una domanda interna spinta da una maggiore creazione monetaria e spesa pubblica. Se ne avvantaggiano i Paesi che hanno mostrato migliori capacità di adattamento alle condizioni imposte dalla globalizzazione, piacciano o non piacciano.
Vi è consenso sul fatto che i modi in cui la crisi è stata affrontata non hanno risolto né i problemi finanziari né quelli reali. L’abbondante creazione di moneta contiene elementi di pericolosità che possono sfociare in una stagnazione con inflazione e la politica della spesa pubblica in disavanzo non spinge lo sviluppo, lasciando un’eredità di indebitamento che incombe sulla stabilità finanziaria mondiale. L’esperienza giapponese di un deficit di bilancio statale e di debito pubblico alle stelle, ma bassa crescita, e quella statunitense e inglese, con disavanzi di bilancio pubblico prossimi a quelli giapponesi, ma con passivi di bilancia estera molto gravi, testimoniano che la situazione venutasi a creare nello sviluppo mondiale non è sanabile con strumenti tradizionali. Né vale l’alternativa seguita dall’Europa di rilanciare lo sviluppo attraverso un maggior rigore di bilancio, perché fa cadere la domanda interna con riflessi negativi anche sullo sviluppo globale.
Ciascuna delle soluzioni scelte non cura quindi le carenze competitive di molti Paesi. Che fare quindi? La risposta è concorde – fare le riforme – per poi divergere nella sostanza: c’è chi la vede in una maggiore flessibilità del lavoro, chi in maggiore credito da parte delle banche, chi in maggiori investimenti infrastrutturali, chi in variazioni del rapporto di cambio (svalutazioni per l’euro, impossibili allo stato attuale, e rivalutazioni per lo yuan, che la Cina non permette) e chi nel rientro nell’ortodossia monetaria e fiscale. Meno sentita, se non proprio contrastata, è la riforma dell’assetto monetario e finanziario internazionale, pur essendo all’origine di molti dei guai che viviamo. La scelta di ciascuna soluzione dipende dal sistema economico al quale si applica. Nel caso dell’Italia è significativo il risultato di un sondaggio tra imprenditori che indica nel taglio delle tasse e della spesa pubblica, accompagnato da maggiori spese nell’istruzione, formazione e ricerca e sviluppo, la terapia da applicare. Esse non sono le materie sulle quali si appunta oggi l’attenzione della politica, mentre dovrebbe farlo unitamente a un’operazione straordinaria di abbattimento del debito statale cedendo patrimonio pubblico. Gli esperti di finanza internazionale hanno chiaramente detto che l’Italia ha un problema di stock di debito pubblico che non può essere affrontato ricorrendo ad avanzi annuali del bilancio statale.
Se tutti i Paesi ricercano un aumento di competitività, ma manca una crescita globale, si incorrerebbe in politiche incoerenti, perché vi sarebbero sempre vincenti e perdenti e si riproporrebbero gli stessi problemi. Manca una politica comune per ampliare la torta, come quella individuata a Bretton Woods per l’area occidentale. Di questo non è stato fatto minimo cenno: il mondo è cambiato, ma in molti la pensano come prima.

Fonte: Panorama Economy 11 aprile 2012

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