• sabato , 27 Luglio 2024

Quei partiti silenti sull’Agenda Monti

L’ autunno dell’ economia italiana si è aperto nel segno dell’ incertezza. Le tensioni sui mercati finanziari possono ritornare, nonostante la fiducia di cui gode all’ interno e all’ estero il governo Monti: perché la caduta dell’ economia ancora non si arresta e l’ occupazione peggiora, mentre lo stato di sbandamento del sistema politico-istituzionale e dei partiti proietta ombre pericolose sul dopo elezioni. Colpisce nel dibattito politico l’ incapacità di vedere le ragioni per cui siamo ridotti come siamo ridotti, con una montagna di debiti, un esercito di disoccupati e sottoccupati e la produttività sotto le scarpe. segue a pagina 10 segue dalla prima Danno l’ impressione perlopiù di sperare che passi la tempesta, e Monti insieme a lei, per ricominciare come prima. A destra riemergono l’ impulso ricorrente a liberarsi dei vincoli europei (che ci porterebbe nel baratro dell’ insolvenza sul debito pubblico) e la promessa di abolire l’ Imu; a sinistra si vede la panacea in un po’ di redistribuzione (più tasse sui ricchi!) e un po’ di politica industriale (un po’ di soldi per tenere in piedi quel che è già morto o inventare quel che non c’ è). Entrambi gli schieramenti condividono l’ insofferenza per l’ abolizione delle pensioni di anzianità e per i primi passi nella direzione della flexi-security con l’ introduzione dell’ Aspi a sostegno della disoccupazione. Farebbero meglio a concentrare la discussione su quel che Monti non ha potuto fare nell’ azione riformatrice, e che dovrà esser fatto. L’ economia italiana soffre di tre malattie: la mancanza di lavoro, il nanismo delle imprese e un settore pubblico ipertrofico e inefficiente. Sul mercato del lavoro, poco meno di dieci milioni di lavoratori hanno un lavoro stabile a tempo indeterminato, quasi 11 milioni sono in condizioni variabili di precariato. La barriera tra lavoro normale e precario resta alta; una tale massa di lavoro precario è incompatibile con l’ investimento in capitale umano necessario per adattarsi a un mondo in cambiamento. Il barocco accordo raggiunto dal Governo con le parti sociali non risolve il problema ma lo aggrava per l’ irrigidimento delle condizioni d’ ingresso. Il vizio d’ origine è che al tavolo del negoziato i lavoratori precari e l’ intero sistema dei servizi “poveri” erano mal rappresentati. L’ obiettivo deve essere l’ unificazione del mercato del lavoro; poiché non vogliamo le asprezze di tipo anglosassone, la soluzione è l’ adozione piena del modello nordeuropeo di flexi-security. Ai primi passi adottati dal Governo, altri più incisivi dovranno seguire. Chi è contro deve indicare un’ alternativa credibile. La difesa dell’ esistente e la rigidità d’ impiego del lavoro hanno molto a che fare anche con la seconda malattia, il nanismo delle imprese – che, fenomeno unico tra i paesi industriali, continua ad aumentare. Le rigidità e i costi dell’ impiego aumentano con la dimensione e, in effetti, hanno giocato un ruolo centrale nella distruzione delle grandi imprese nel nostro paese. Il difficile negoziato per i nuovi contratti di lavoro alla Fiat e la palude giudiziaria nella quale si è impantanata la loro applicazione ne offrono nuova, macroscopica conferma. Protezioni e sussidi sono stati elargiti con larghezza per frenare l’ aggiustamento imposto dal mutamento dell’ economia globale, tenendo in piedi posti di lavoro e aziende fuori mercato che poi alla fine muoiono lo stesso, ma con costi collettivi maggiori. Completa questa brillante strategia la tradizionale contrarietà agli investimenti esteri – condivisa da tutte le forze politiche – la cui manifestazione più perniciosa sono le operazioni di sistema per il mantenimento in mani italiane di imprese “strategiche”. Gli stranieri non vengono perché non offriamo condizioni di mercato; l’ idea di attrarli con qualche sussidio erogato da agenzie pubbliche non funziona. La ciliegia sulla torta è la moltiplicazione dei vincoli all’ attività d’ impresa derivanti dal fiume inarrestabile di nuove leggi, un sistema fiscale del tutto imprevedibile e i blocchi burocratici imposti a casaccio ad ogni livello di governo. Alla fine, si son salvate le imprese che hanno accettato la sfida dei mercati globali, ristrutturandosi lontano da Roma e senza aiuti: cosa che ci lascia ancora la seconda industria manifatturiera d’ Europa. Ma nei servizi, nelle reti, nella miriade di società pubbliche locali, l’ efficienza non riesce ad entrare e la produttività resta bassissima. Qui s’ innesta la terza malattia, l’ ipertrofia inefficiente e corrotta del settore pubblico. La classe politica ha visto il settore pubblico più come fornitore di posti che di servizi; negli ultimi trent’ anni quei posti ha preso sempre più a occuparli per i propri esponenti, un ceto scadente e corrotto che interpreta la lotta politica come la spartizione delle pubbliche spoglie. Ogni centro di governo è diventato un centro d’ interdizione, un luogo di riscossione delle taglie. Lo spoil system ha travolto la terzietà dell’ amministrazione; l’ applicazione delle regole è diventata faziosa, perdendo credibilità e nutrendo l’ illegalità sotto l’ ombrello della politica. I partiti che rivendicano il diritto di governare devono prima ripulire se stessi: riformando il finanziamento dei partiti, causa della corruzione e della frammentazione politica; cambiando la legge elettorale per dare stabilità ai governi, non per perpetuare le oligarchie di partito; ritirandosi dall’ amministrazione, dalle nomine e dagli appalti. Come li ha invitati a fare senza mezze parole il presidente Napolitano nel suo ispirato discorso alla Fondazione Pellicani il 6 settembre. Ma finora non mostrano di aver capito: si muovono tardi e poco quando il pubblico sdegno minaccia di travolgerli, poi ricominciano a traccheggiare. Quanto all’ economia, non si scappa. Chi vuol governare al posto di Monti, deve spiegare come intende affrontare le grandi questioni irrisolte dell’ economia: il lavoro, il mercato, il settore pubblico marcito. Se non si affrontano queste questioni, la crescita non riprenderà e il nostro debito pubblico, alla fine, risulterà insostenibile. Senza politiche credibili, senza prospettive affidabili di governabilità, è inevitabile che l’ instabilità sui mercati si intensifichi, man mano che si avvicinano le elezioni. L’ Unione europea e i mercati finanziari, dopo averci obbligati a rimetterci in carreggiata, non ci lasceranno sbandare di nuovo; se ci proviamo, finiremo commissariati.

Fonte: Affari e Finanza del 1 ottobre 2012

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