• giovedì , 16 Maggio 2024

Primi vagiti di una politica industriale

Salvare quel poco che di grande abbiamo e aiutare a diventare grande chi da solo fino ad oggi non c’è riuscito. Per il momento sono singoli tasselli, ma anche se non è ancora un quadro compiuto le linee di politica industriale di questo governo, dopo che per troppi anni l’Italia non ne ha avuta nessuna, si cominciano a intravedere. Il primo tassello è stato nei mesi scorsi il recupero di Fincantieri, venerdì si è aggiunto il decreto sulla separazione di Snam dall’Eni, i prossimi saranno l’assetto proprietario e il progetto industriale di Ansaldo trasporti e Ansaldo energia e, infine, quello delle utilities. Situazioni diverse le une dalle altre, ma la cui gestione esprime una linea. Che non è quella anglosassone di lasciare solo al mercato le soluzioni, ma è assai più vicina quelle tedesca e francese, dove i governi curano con grande attenzione, più direttamente i francesi, indirettamente ma non meno efficacemente i tedeschi, l’evoluzione dei settori produttivi e il posizionamento industriale del paese. Di ciascuna delle operazioni in ballo il ministro dello Sviluppo, che tiene in mano i fili, sembra voler fare qualcosa. Di Snam un polo europeo di infrastrutture nel settore del gas, con l’obiettivo di aumentare la capacità e la diversificazione delle fonti per ridurre i prezzi in Italia e farne una base per la riesportazione verso gli altri paesi. Per Ansaldo trasporti e Ansaldo energia l’idea è di valorizzarle e metterle al centro di un progetto industriale nel quale poi coinvolgere dei partner per sviluppare la presenza industriale italiana e non impoverirla. Per le utility il progetto è costruire intorno a Edipower un soggetto forte, non più legato a logiche politiche e di campanile, che abbia le dimensioni per giocare la sua partita a livello continentale. Per ciascuno dei casi le soluzioni sono complesse e faranno storcere il naso a molti. Ai sacerdoti del libero mercato per il coinvolgimento della Cassa Depositi e Prestiti, e certamente ai vari gruppi di interesse locali che opporranno resistenza vedendo a rischio i loro sistemi di potere. Non è detto infine che i progetti vadano in porto così come si vanno delineando.
Per il momento quello si vede non sono i risultati ma la filosofia. Che si basa sull’idea che l’Italia solo con il “piccolo” non ce la fa così come non ce la fa solo con l’industria leggera. Le piccole aziende, il lusso, l’agroindustria, l’arredo, le macchine utensili sono importantissime per l’economia, ma non bastano a mantenere in piedi l’economia di un paese come l’Italia, il suo tenore di vita e la sua stessa dimensione di media potenza industriale. Ci vuole anche l’industria pesante, e quindi Fincantieri, Ansaldo trasporti, Ansaldo energia non sono capacità industriali alle quali si può rinunciare. Non tanto o non solo per quello che riguarda la proprietà quanto per quello che riguarda la presenza produttiva nel paese e il suo sviluppo. L’Italia ha perso molti treni, troppi, e deve fare molta attenzione a quelli dai quali rischia di scendere. E poi ci sono le reti, che certamente nessuno si può portare via, ma che possono essere delle rendite di posizione oppure degli strumenti per realizzare un progetto.
Quindi la linea è tenere sul territorio nazionale un’industria pesante, favorire la creazione di soggetti di dimensioni rilevanti, usare le reti per la crescita interna ma anche per definire un ruolo del paese in rapporto all’Europa.
Non è detto che sia la cosa giusta né che quella tracciata sia la strada migliore per raggiungere l’obiettivo, tantomeno è detto che quell’obiettivo sarà raggiunto. Questo lo scopriremo. Ma la novità non è marginale: una politica industriale che non c’era adesso comincia a intravedersi.

Fonte: Affari e Finanza del 28 maggio 2012

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