• sabato , 27 Luglio 2024

Pensionati più vecchi? Sì, forse, anche no.

Peccato, peccato davvero, che sia stato un «refuso».Quella norma che agganciava alla speranza di vita anche i requisiti contributivi per andare in pensione, era ben fatta. Per mezza giornata ci siamo illusi che il governo e la maggioranza avessero trovato la risolutezza neces­saria a completare una riforma delle pensioni che nei mesi scorsi ha riscosso l’approvazione unanime dei maggiori organismi economici in­ternazionali,dal Fondo monetario in giù.Così non è stato.Dopo mezz’ora dal «no» pronunciato dal segretario della Cisl,Raffaele Bonanni,il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi ha dettato una nota imbarazzata che sa di retromarcia: è stato un «refuso », ha detto,lo cancelleremo.
Due parole per spiegare ai lettori la materia del «refuso». L’estate scorsa Giulio Tremonti aveva fatto,d’intesa con Sacconi,un blitz in­serendo tra le pieghe della manovra economica un codicillo che ag­ganciava l’età pensionabile alle speranze di vita certificate dall’Istat. Un intervento di buon senso:se si vive di più, bisogna lavorare più a lungo.Lo capisce chiunque.Per un momento è sembrato che il governo volesse tentare il bis,estendendo il principio «più vivi a lungo, più lavori » non soltanto all’età anagrafica ma anche a quella contributiva.In breve,i 40 anni di contributi versati non avrebbero più concesso il diritto automatico di andare a riposo. Inoltre l’adeguamento alla speranza di vita sarebbe stato più frequente,ogni tre anni anziché ogni cinque. Il tutto a partire dal 2016.Queste,in sintesi,le nuove norme che hanno avuto vita brevissima,poche ore,in Parlamento.S’era capito subito che il loro cammino sarebbe molto accidentato.
I sindacati,sempre prontissimi alle battaglie di retroguardia,hanno incominciato a tirar su le barricate.La Cgil ha parlato di «follia». Anche la Cisl e la Uil, che pure in queste settimane avevano dato prova di moderazione di fronte alla stretta imposta dalla manovra,hanno detto «no». Pochi hanno riflettuto sul fatto che se oggi l’Italia non è la Grecia, e neppure la Spagna,lo dobbiamo anche a quel blitz dell’anno scorso.Se le perfide agenzie di rating ci lasciano in pace, menando invece colpi durissimi su Atene e Madrid,il motivo è principalmente la sostenibilità nel tempo del nostro debito pubblico,pur elevatissimo. Le riforme delle pensioni approvate di anno in anno sono parte integrante di questa sostenibilità. Non è un caso se tutte le grandi organizzazioni economiche internazionali,dal Fondo monetario all’Ocse, fino alla stessa Commissione europea abbiano riconosciuto pubblicamente che l’Italia ha fatto più di tutti gli altri per assicurare la spesa pensionistica contro le esplosioni future.Per un momento è parso che si volesse andare avanti in questa direzione.L’emendamento alla manovra economica altro non era che la prosecuzione dell’intervento fatto lo scorso anno. L’Italia, dopo il Giappone,è il Paese in cui si vive di più. Le ultime stime parlano di 85 anni per le donne e 80 per gli uomini. Vivere più a lungo significa anche lavorare più a lungo:lo dice l’economia, ma soprattutto la logica.E nessuno venga a ripetere la vecchia tiritera secondo cui gli anziani al lavoro rubano posti ai giovani.È esattamente il contrario.Nei Paesi in cui si lavora più a lungo,il tasso di disoccupazione giovanile è più basso. Per tutti questi motivi è un vero peccato che si sia trattato di un «refuso».

Fonte: Il Giornale 2 Luglio 2010

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