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PARTITA SUL FILO DEL RASOIO GOVERNI-BANCHE CENTRALI-MERCATI

Nel dicembre del 1996, in un famoso discorso all’American Enterprise Institute, Alan Greenspan coniò l’espressione irrational exuberance per indicare che i prezzi di borsa non riflettevano i fondamentali economici e rischiavano quindi una brusca caduta. Quell’espressione è oggi oggetto di culto e chi la digita su Google ottiene 2,5 milioni di risultati. Greenspan in effetti aveva ragione, i mercati erano ipervalutati e lo scoppio della bolla di internet qualche anno più tardi lo avrebbe dimostrato. Peccato che nel frattempo il presidente della banca centrale americana, fedele al suo credo nel laissez faire, non avesse fatto nulla per scoraggiare l’esuberanza irrazionale che aveva denunciato. Lo scoppio della bolla internettiana nel 2000 e quello dei mutui subprime nel 2007 gli costarono la reputazione. A quasi un ventennio di distanza qualcuno si chiede se ci siano analogie tra la situazione del 1996 e quella del 2014. Nei discorsi ufficiali e nei documenti pubblici il tema dell’irrational exuberance non sembra oggetto di dibattito. Ma negli uffici delle maggiori banche centrali e dei dicasteri economici del G7 è ben presente. Almeno un paio di ricorrenze, in effetti, si intravedono ora come allora: non solo la circostanza che i corsi azionari e obbligazionari siano in crescita sostenuta e non giustificata dagli utili delle imprese, ma anche una situazione macroeconomica caratterizzata da persistente bassa inflazione e bassi tassi d’interesse. Una nuova crisi è dietro l’angolo? Nessuno lo dice, ma tutti la paventano. Nonostante le gigantesche iniezioni di liquidità operate nel dopo crisi, infatti, resta un mistero perché l’inflazione non abbia rialzato la testa e i tassi d’interesse a lunga (quelli che riflettono le aspettative del mercato) siano al palo. Due fattori questi che contribuiscono ad alimentare la speculazione finanziaria e i rischi relativi. Il pensiero dominante attribuisce il fenomeno a uno squilibrio globale tra risparmio e investimenti dovuto a cause strutturali (l’accresciuta propensione al risparmio dei paesi emergenti e la latitanza degli investimenti in quelli sviluppati). Dietro le quinte si intravede il fantasma della stagnazione secolare evocato da Lawrence Summers, una prospettiva di generale declino per il blocco occidentale. Ma non tutti la pensano così. Il capoeconomista della Banca dei Regolamenti internazionali, Claudio Borio, noto per avere previsto esattamente la crisi del 2007, scrive in un recente articolo che i tassi d’interesse sono determinati . Secondo Borio, che una tesi analoga aveva già espresso in una conferenza presso la Banca d’Italia, il pensiero dominante non considera che i tassi a lunga sono l’esito delle aspettative che le banche centrali contribuiscono a generare negli operatori con la loro azione. La conclusione implicita è che evidentemente i mercati sono convinti che la politica monetaria continuerà a seguire una linea accomodante pur di rimandare lo scoppio di una bolla che quando arriverà sarà però più devastante. . La risposta di Borio è che le banche centrali dovrebbero stringere maggiormente i freni durante le fasi di boom finanziario e rilasciarli meno aggressivamente in quelle di bust (caduta). Diversamente, si finisce in una trappola nella quale la politica monetaria insegue cicli finanziari sempre più frequenti di boom e bust. Come sta accadendo.
All’indomani del pacchetto di provvedimenti espansivi varati dalla Bce, Angela Merkel ha incontrato Mario Draghi. Un incontro ufficialmente di routine ma nel quale la cancelliera dopo avere confermato il suo appoggio al presidente della Bce lo avrebbe invitato alla cautela relativamente alle prossime misure in cantiere (forse pensando agli interessi delle grandi compagnie assicurative tedesche, chissà). La verità è che nelle economie occidentali si sta giocando una partita dagli esiti imprevedibili tra governi, banche centrali e mercati. I primi, pressati dalle rispettive opinioni pubbliche, hanno un disperato bisogno di crescita ma non riescono a fare le riforme strutturali che sarebbero necessarie. Le banche centrali sono consapevoli che prima o poi dovranno invertire la rotta ma non sanno né come né quando. I mercati sperano che lo stallo continui, pronti tuttavia al nel caso gli altri giocatori cambino strategia. Il resto del mondo osserva, forse con un filo di apprensione.

Fonte: Il Foglio - 18 Giugno 2014

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