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Monti e il nodo democratico delle politiche sull’euro

Qual è la notizia? Che si voti due o tre settimane prima? Semmai dovrebbe essere una buona notizia: il governo, non sfiduciato, può restare in carica nella pienezza dei suoi poteri; che la “strana maggioranza” avrebbe avuto fibrillazioni e sussulti avvicinandosi la data delle elezioni, era prevedibile: abbreviare la campagna elettorale è atto di saggezza.
Che Berlusconi si ritirasse a vita privata, nessuno lo poteva ragionevolmente pensare. Quanto ai temi della sua campagna elettorale: la Lega, l’alleato a cui cerca di riavvicinarsi, è antimontiana e antieuropea da sempre; l’antagonista, il centro di e intorno a Casini, non aspira ad altro che ad avere Monti nel simbolo. Il cavaliere mica può pensare di arginare l’esodo dei suoi dicendo «io di più»?
Berlusconi, si dice, userà toni populisti e vigorosamente antieuropei. Che il populismo sia componente essenziale della sua retorica politica, lo si sa da tempo, ci fece su la campagna elettorale del 1994. Ma per ora i segnali sono trattenuti: il discorso di Alfano alla Camera, a leggere lo stenografico, non lo si può qualificare di populista, usa argomenti politici che si possono trovare negli editoriali dei principali giornali italiani.
Che Monti ha dato le dimissioni, sarebbe questa la notizia? E cos’altro si poteva fare per abbreviare in modo istituzionalmente inappuntabile una legislatura ormai esausta?
Se le cose stanno così, perché la reazione dei mercati, l’aumento dello spread, il calo della Borsa? Una prova della irrazionalità dei mercati?
I mercati non servono, ad allocare razionalmente le risorse, ma a scoprire in particolare i prezzi delle cose: sono, nella famosa definizione di Hayek, procedure per la scoperta. Lo fanno, continuamente correggendosi, sulla base delle informazioni disponibili a un costo ragionevole. Cioè quelle degli analisti di alcune grandi istituzioni finanziarie che si possono permettere di pagarli.
I mercati non servono, ad allocare razionalmente le risorse, ma a scoprire in particolare i prezzi delle cose: sono, nella famosa definizione di Hayek, procedure per la scoperta. Lo fanno, continuamente correggendosi, sulla base delle informazioni disponibili a un costo ragionevole. Cioè quelle degli analisti di alcune grandi istituzioni finanziarie che si possono permettere di pagarli.
Conoscere in dettaglio gli umori della politica italiana o greca non è elementare, costa caro, a passare sono i messaggi semplici e convincenti. La politica è arte del convincere, a volte ci riesce. È riuscita a far credere per anni che il trattato di Maastricht avrebbe fatto convergere le economie dei vari Paesi verso i famosi parametri. Di conseguenza per anni e anni i tassi all’interno dell’Eurozona sono stati pari a quelli tedeschi, gli spread minimi riflettevano solo le differenti dimensioni e liquidità dei mercati. È il messaggio con cui Ciampi ha convinto gli italiani a versare l’eurotassa. Tendiamo a dimenticarcene, ma noi del Sud Europa ci abbiamo guadagnato centinaia di miliardi di euro. Arriva la crisi, e arriva Monti. Biografia stellare, standing, la Bocconi, l’Europa, uno che ha saputo mettere in riga gli americani della General Electric e della Microsoft: perfetto per dare un’altra faccia al Paese. Aiuta il wishful thinking: sono in tanti a temere l’implosione dell’euro, non solo Obama in campagna elettorale, e la Merkel che già pensa alla sua del 2013. E dopo tutto l’Italia è il biliardo di Foligno della intramontabile definizione di Eugenio Scalfari. I mercati credono al messaggio. Solo un maquillage? Per nulla, ma nessuno riflette che in un anno nessuno può rimediare a un declino che dura da vent’anni.
Credere a Monti consentiva ai mercati di risparmiare sul costo dell’informazione. Quando ci si accorge che era troppo semplice, che si debbono fare conti più complicati e costosi, aumenta l’incertezza. Come andranno le elezioni? Prevarranno le forze antieuropee? L’Italia rappresenterà un pericolo per la stabilità dell’Eurozona?
Difficile distinguere previsioni da convinzioni, l’essere dal dover essere. È il problema della democrazia, da millenni la nostra cultura cerca di venirne a capo, in tempi recenti inquieta pensatori da Tocqueville a Minogue: come può ciò che il popolo vuole non essere bene per il popolo? I prezzi che l’austerità esige dalle popolazioni di metà Europa sono sotto gli occhi di tutti. Troppe tasse e pochi tagli? Troppa poca Europa? Più poteri a Bruxelles per salvare Roma, Madrid, Atene? Se si teme per le sorti delle politiche dell’euro, invece che demonizzare anzitempo il populismo in Italia, meglio riflettere sul problema democratico che quelle politiche pongono ai Paesi d’Europa. Finché si è in tempo.

Fonte: Sole 24 Ore del 12 dicembre 2012

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