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L’impossibile riforma del fisco. Sgravi fiscali e sconfitte elettorali

Già se fuori dei nostri confini non stesse accadendo nulla, non sarebbe solo questione di costi. Una riforma tributaria ambiziosa come quella che Giulio Tremonti ha abbozzato.
Una riforma che, sulla base del lavoro di quattro commissioni di fatto bipartisan, richiede una grande forza politica. Per semplificare il fisco, eliminando agevolazioni e privilegi a favore dell’interesse generale dei contribuenti, occorre vincere le resistenze di lobbies ben radicate in Parlamento, che i cosiddetti «responsabili» sui quali la maggioranza attuale si regge sarebbero probabilmente i primi ad ascoltare. Occorrerebbe chiedere a gruppi forti un passo indietro; come la nostra politica è riuscita a fare, e non molto, soltanto in momenti di grave pericolo, in cui si poteva far appello alla coesione nazionale.
Per di più c’è la Grecia. Non è colpa nostra, ma occorre tenerne conto. La crisi dell’euro rischia di scappare di mano per un perverso intreccio di malcontento popolare e di intrighi politici ad Atene, di arroganza del potere economico e goffaggine governativa a Berlino. Se vogliamo evitare il contagio – un contagio che costringerebbe ad alzarle, le tasse, a causa di maggiori interessi sui nostri titoli di Stato – l’Italia deve essere prudente al massimo anche nel fare annunci e nel formulare progetti. Forse Tremonti, messo alle strette, ha escogitato una maniera molto italiana per riuscirci: delineando una riforma fiscale troppo ambiziosa per essere realizzata.
Di fronte all’agitazione dei mercati, l’Italia deve solo e soltanto impegnarsi a risanare la finanza pubblica. Se servono 40 miliardi di tagli alla spesa veri, già difficilissimi da trovare, è evidente che non ci sono risorse per alleggerire in modo significativo il peso del fisco, 15-20 miliardi secondo una stima che filtra dallo stesso Tesoro. L’esperienza insegna che per evitare una sconfitta elettorale non bastano sgravi limitati. Anzi l’operazione più ampia di calo delle tasse finora condotta, quella del governo guidato da Giuliano Amato nel 2000, in euro di 12 miliardi, non salvò affatto il centro-sinistra dalla batosta del 2001.
La via di una riforma fiscale a parità di gettito, ovviamente, esiste; in teoria è ben possibile premiare i contribuenti onesti facendo pagare di più evasori e privilegiati. Nella pratica, i privilegiati e gli evasori sono tali perché la politica ha fatto leggi a loro favore, e trova arduo disfarle. La lotta all’evasione che Tremonti ha intrapreso dall’autunno 2009, anche correggendo suoi provvedimenti dell’anno prima, già non è popolarissima nella coalizione di maggioranza. I 160 miliardi di agevolazioni censite dalla commissione di esperti nominata dal ministro dell’Economia sembrano tanti, ma comprendono benefici che riguardano la maggioranza dei contribuenti, come le detrazioni Irpef per lavoro dipendente o per carichi di famiglia.
A prendere di mira esenzioni e sgravi di cui gode l’agricoltura hanno provato in passato diversi governi, e non ci è riuscito nessuno. E’ ben possibile portare a livelli europei la tassazione oggi molto bassa sui redditi finanziari; ma se se ne escludono i titoli di Stato, come già si è detto, non ne verrà un gettito di dimensioni tali da cambiare il quadro. E se invece si facesse lo scambio più Iva meno Irpef, sollecitato dagli industriali per accrescere la competitività all’estero, si avrebbe un aumento immediato del costo della vita in cambio di benefici diluiti nel tempo.
Sono tutti progetti validi per una prossima legislatura; può darsi appunto che questo non sfugga ai temuti analisti dei mercati finanziari.

Fonte: La Stampa del 16 giugno 2011

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