• giovedì , 5 Dicembre 2024

L’educazione alla non violenza? Improrogabile, anche contro i dittatori

Un caro amico, Franco Mattei, tra l’altro ex DG della Confindustria, mi ha regalato a suo tempo un grosso libro di Scipio Sighele, un bresciano, un tempo notissimo sociologo del collettivo, che aveva osato scrivere più di un secolo fa un volume dal titolo sconcertante:”La folla delinquente”. A questo studio potrebbe rivolgersi chi ha seguito tramite la TV francese ben più attenta della RAI e persino della BBC, le ultime rivolte di giovani in Tunisia, ripetute in Algeria ed in Egitto. Ora sembrano rinascere in Tunisia e proseguono, comunque, in Libia dove hanno rafforzato presso i suoi il dittatore Gheddafi scatenandone immancabilmente la reazione sanguinosa; ed hanno suscitato anche gravi timori in Italia, a causa del Trattato di Amicizia, oggi sospeso col pretesto che può essere denunciato solo dopo una decisione del nostro parlamento. Non pochi negli USA ed in Europa, che aspirano a soppiantarci in Libia, vorrebbero indurci a denunciare subito il predetto Trattato. Ma esso garantisce le forniture all’ENI via gasdotto Greenstream da Mellitah in Libia a Gela in Sicilia. Anche se il dittatore libico ha molti debiti verso imprese italiane, la vendita del gas costituisce la principale entrata valutaria libica e solo islamici scatenati ed Al Qaeda potrebbero immaginare di distruggere le pompe ed il tubo per il gas.
Nel mondo, specie in Africa, di dittatori ce ne sono diecine e nella storia centinaia! L’Etat c’est moi! declamava Luigi XIV! Non c’erano allora le Nazioni Unite a contrastarlo o contraddirlo e nessuno sobillava le folle in rivolta con mezzi audiovisivi né si creavano sentimenti collettivi via web come accaduto ultimamente in Nord Africa. Oggi le dittature individuali hanno vita più difficile, ma sono realtà dalle quali non si può prescindere, tanto più che in molti casi c’è il rischio di passare dalla padella alla brace, perché si diffondono in compenso regimi fondamentalisti, come nel caso Al Qaeda, ancorati su credo religiosi che irreggimentano le masse, le scatenano e provocano persecuzioni dei più deboli e dei remissivi. Comunque, l’aspetto più impressionante degli eventi recenti è stato il trasmettersi, come una quasi fulminea infezione del sangue, della rabbia e dell’odio da ogni singolo individuo componente la folla di rivoltosi ad ognuno dei suoi vicini con l’urlo, il pugno alzato, il ghigno feroce e armi contundenti. E in mezzo a loro, pienamente coinvolti, c’erano non solo fotografi e cineasti, ma anche giornalisti che urlavano e menavano le mani come gli altri:tutti infettati.
Assistiamo, dunque, ad un ritorno dell’era della folla, all’avanzata di nuove forme barbare di cultura che ha indotto taluno a scrivere di apocalisse del mondo borghese. Ma sono eventi che tornano periodicamente ad affacciarsi, con una ciclicità che sembra giungere quando si arriva al culmine di tensioni sociali, alle quali c’è chi crede di dare risposte normalizzatrici, purtroppo scambiate poi per debolezza. Gli psicologi della folla sono oggi indotti a credere che, nella società moderna, il potere e il controllo si possano esercitare non segregando il malato, il folle, il reo,ma attraverso una persuasione,atta ad agire sull’inconscio collettivo. La difficoltà è di intervenire prima che la folla si compatti e, soprattutto, prima che si scateni la violenza. Ma come intuire che gli appelli purtroppo demagogici all’indipendenza, alla libertà e simili possano degenerare? Per lo più si interviene con blandizie e persuasioni quando la violenza è già scatenata ed allora si ottiene solo il risultato di convincere i rivoltosi sulle maggiori probabilità di restare impuniti. Scavando via Google, si apprende che, ancor più di Sighele, ha avuto successo in quei tempi lontani (1892-1895) un altro psico-sociologo, Gustave Le Bon. Egli definisce la sua epoca come un periodo nel quale le folle (in seguito a una serie di cambiamenti già in atto a quei tempi quali il suffragio universale, la crescita delle città, il miglioramento delle comunicazioni) sono destinate a dominare la scena sociale. Poiché esse propendono per le azioni violente e sono “poco incline al ragionamento”, tale predominio prelude a un periodo di decadenza e di disgregazione. È necessario quindi, scriveva Le Bon, che l’uomo di Stato approfondisca la psicologia delle folle, in modo tale da riuscire ad arginarle e “non essere da esse interamente governato”. Per Le Bon, l’individuo immerso nella folla subisce una radicale trasformazione, la sua personalità cosciente si annulla ed emergono in lui gli elementi più primitivi e irrazionali. Spinto dalla folla, egli compie azioni che non compirebbe mai da solo, perché questo sentimento collettivo orienta i sentimenti e i pensieri di tutti nella medesima direzione, producendo una diminuzione delle capacità intellettuali dei singoli individui e un aumento dell’impulsività, della volubilità e della violenza. Tutto ciò è favorito dal fatto che la situazione di folla, essendo quest’ultima anonima, assicura l’impunità.
Questa trasformazione, scrive Le Bon, avviene sulla base di tre meccanismi fondamentali. Innanzitutto l’essere immerso in una folla consente all’individuo di acquisire un ‘senso di potenza invincibile’, poiché egli si sente spiritualmente vicino, all’unisono, con una grande quantità di persone. In secondo luogo i sentimenti si trasmettono da un individuo all’altro ‘per contagio’, esattamente come avviene per le malattie infettive. Infine, ed è questo il meccanismo più importante, agisce nella folla la ‘suggestione’ che riduce l’individuo in uno stato particolare, simile a quello provocato da un ipnotizzatore. Per Le Bon la folla ricerca istintivamente un capo, un trascinatore (meneur des foules). Questa persona può essere in grado di controllarla, non solo sulla base del prestigio personale. Siccome le folle pensano poco, esse sono influenzate da frasi semplici, se di grande effetto, da slogan, da idee-immagini che suscitano forti sentimenti. È quindi necessario che il trascinatore utilizzi un tipo di linguaggio molto elementare e colorito per far comprendere alla folla il suo messaggio e per ottenere consenso.
Queste considerazioni, oggi validissime, possono spingere a ragionare controcorrente, ossia in modo opposto a ciò che molta gente, per le evoluzioni cicliche, è tornata a pensare. Oggi, di nuovo, non c’è molta diffidenza nei confronti delle folle. Il lettore che invece tuttora diffidasse, come chi scrive, può condividere il parere che la sola speranza di evitare l’agglomerazione di folla predisposta alla rivolta è di favorire l’educazione alla non violenza, laddove oggigiorno quasi tutti gli spettacoli, specie sugli schermi casalinghi di TV, sono per lo più storie di armi, di delinquenti, di polizia e di violenza. Impensabile sarebbe oggi una limitazione della libertà di stampa (al tempo del fascismo la cronaca nera non poteva superare il 20% dello spazio sui giornali), ma reiterati appelli (moral suasion) ad un autodisciplina da parte di chi ha ancora autorita’ morale in Italia sarebbe auspicabile.
E’ un fatto di civiltà, di qualcosa più importante dell’osannata democrazia! Un popolo è tanto più civile quanto più rispetta le persone. Cercare di persuadere con la logica ed i sentimenti è una buona via. Ma occorre insegnare soprattutto ai giovani di evitare di esercitare qualsiasi forma di coazione o pressione su chi sta loro accanto. Ognuno deve consentire agli altri di sentirsi liberi nel quadro di una convivenza dove – come affermano i liberali – la tua libertà finisce dove comincia quella altrui.
E’ un vecchio slogan.Ma non per questo meno valido.

Fonte: Per gli Amici n.9 del 28 febbraio 2011

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