• martedì , 12 Novembre 2024

Le nuove scuole / La scommessa dei giovani sul made in Italy

di Giuseppe Roma

Prende avvio, in questi giorni, il liceo del made in Italy, un nuovo indirizzo didattico della scuola secondaria di secondo grado. È una novità significativa per il sistema di istruzione che, nonostante continue modifiche parziali e regolamentari, è rimasto sostanzialmente immutato nella sua struttura fondamentale. Novità anche perché rientra in una serie di misure volte a promuovere e tutelare le eccellenze produttive italiane.

Aver affiancato uno strumento formativo agli incentivi finanziari rappresenta un indubbio riconoscimento di quanto sia decisiva la scuola nell’accrescere la competitività del paese.

Come per ogni innovazione la partenza costituisce sempre il momento più delicato, specie se si interviene su una macchina in corsa e con pochi strumenti aggiuntivi. L’obiettivo dichiarato è quello di sviluppare conoscenze per promuovere marchi e prodotti italiani nel mondo, senza escludere la sollecitazione a diffondere nei giovani interessi verso il lavoro creativo e imprenditoriale. In particolare, attraverso l’acquisizione di competenze linguistiche, giuridiche, economiche e scientifiche, gli iscritti dovrebbero intraprendere uno specifico percorso nell’ambito della gestione imprenditoriale e soprattutto della presenza nei mercati esteri. Questo disegno trova, purtroppo, dei limiti nella sua pratica attuazione che, come è successo per altre innovazioni scolastiche, non può comportare oneri aggiuntivi per lo Stato.

Basti ricordare l’introduzione dei centri per l’istruzione degli adulti promossa dal Governo Monti senza risorse e senza nuovi insegnanti, che ha inciso ben poco su quell’ “analfabetismo di ritorno” più volte denunciato dall’autorevole linguista Tullio De Mauro. Immagineremmo i licei del made in Italy come nuove architetture con grandi vetrate e arredi di design, con professori esperti e nuovi assistenti reclutati nel mondo delle eccellenze italiane, con laboratori, una didattica aperta alle imprese e localizzati nei territori più vitali delle tipiche produzioni italiane. Ma per ora dovremo accontentarci di realizzare un nuovo indirizzo nelle più tradizionali scuole tecniche denominate ora Licei Economici e Sociali, con l’avvertenza che non sarà possibile formare nuove classi ma solo sostituire quelle esistenti e si dovranno utilizzare gli stessi docenti in forze all’istituto.

Per il successo dell’intera operazione dobbiamo, tuttavia, chiederci quanta consapevolezza ci sia nell’opinione pubblica del saper fare italiano.

Parliamo correntemente di “made in Italy” ma è una parola d’ordine sufficientemente esplicativa? Intanto è una dicitura in inglese importante soprattutto all’estero. I marchi del lusso, gli importatori di vini e di beni alimentari, gli utilizzatori di macchinari speciali o di componentistica sono consapevoli che il consumatore globale è disposto a spendere qualcosa in più pur di comperare italiano. E così le grandi case francesi o inglesi rivendicano che le scarpe sono realizzate lungo la Riviera del Brenta, che il taglio della giacca è napoletana, che la pelle è conciata in Italia.

Dobbiamo essere consapevoli che il “ben fatto” costituisce una componente importante delle nostre esportazioni il cui valore nel 2023 – nonostante il rallentamento dell’economia mondiale – eguaglierà l’eccezionale risultato dell’anno precedente superando i 600 miliardi di euro. Il successo dell’industria italiana è certo legato al design, alla cura dei materiali e delle lavorazioni, alla personalizzazione dei prodotti, ma fondamentale è l’elevata qualità tecnologica. I maggiori volumi di prodotti italiani collocati all’estero sono, infatti, i macchinari, la meccanica strumentale, i sistemi di automazione che sappiamo ben adattare alle diverse esigenze di una variegata clientela. Poi, certo, l’unicità italiana è legata ai nostri stili di vita che si manifestano nella moda, nel cibo, nell’abitare.

Per far crescere ulteriormente questo comparto d’eccellenza, obiettivo dei nuovi licei, vanno superati alcuni limiti insiti nella realtà italiana. Le imprese di qualità sono spesso preda di grandi gruppi stranieri (in particolare francesi) soprattutto quando hanno necessità di risorse per crescere. Sarebbe bello che il nostro sistema finanziario scommettesse di più sui nostri marchi, in modo che la ricchezza prodotta rimanesse nell’economia nazionale. Altrettanto cruciale è la nota carenza di risorse umane visto che il 49% del personale richiesto dalle imprese è di difficile reperimento (dati gennaio 2024).

Qui non si tratta di evocare i sistemi del passato, l’imparare il mestiere “a bottega”, ma di rafforzare competenze e saperi proprio attraverso una formazione più efficace e innovativa. I profili mancanti non sono tanto quelli a bassa qualificazione (i lavori che non vogliono fare gli italiani), ma le professioni tecniche per la gestione dei processi produttivi, per la distribuzione commerciale, gli operai specializzati, i tecnici, i meccanici artigianali. E qui, torna la centralità dell’istruzione, del sapere, delle conoscenze, della scuola fattori indispensabili ad alimentare e valorizzare il Made in Italy.

(Il Messaggero del 29 Gennaio 2024)

Fonte: Il Messaggero del 29 Gennaio 2024

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