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Le illusioni di salvezza dalla Bce

Alla vigilia della riunione del Consiglio Bce che dovrebbe decidere i tanto annunciati acquisti di titoli di Stato sembrano tutti col fiato sospeso. Il provvedimento è praticamente certo: non solo perché i mercati se lo aspettano e se non fosse preso ci potrebbero essere pesanti reazioni negative, ma soprattutto per la recente decisione della Banca centrale svizzera di abbandonare il tetto al cambio con l’euro. Non lo avrebbe fatto se non fosse stata sicura della successiva decisione della Bce, e chi può prevedere le mosse dei banchieri centrali meglio di altri banchieri centrali?

Ci sono però ancora molte incertezze sul come sarà varata questa misura. Mario Draghi ha detto che la banca vuole riportare il suo bilancio alle dimensioni che aveva all’inizio del 2012, il che significa uno “spazio” di circa 1.000 miliardi. Saranno fondate le indiscrezioni diffuse da Bloomberg che parlano di 50 miliardi di acquisti al mese fino a tutto il 2016 (con cui si arriverebbe appunto a quella cifra) o ci si limiterà ai 500 miliardi di cui si è parlato sinora? E i rischi (teorici) resteranno in capo alla Bce, come dovrebbero, o si cederà alle pressioni tedesche secondo cui dovrebbero farsene carico le banche centrali nazionali? Se si decidesse in questo senso si darebbe un pessimo messaggio, che gli operatori potrebbero interpretare come un ulteriore segnale di scollamento della zona euro.

Ma ipotizziamo che tutto vada nel migliore dei modi e che i mitici “mercati” siano soddisfatti della decisione presa, e che dunque non ci si debba trovare a fronteggiare una nuova ondata speculativa. Basterà per risolvere i problemi dell’eurozona? Facciamo un esempio. Se non fate a vostra moglie gli auguri per il suo compleanno certamente si dispiacerà. Ma se glieli fate, non è quella la prova che siete innamorati di lei come il primo giorno. Per l’allentamento monetario – il famoso quantitative easing, QE – è un po’ la stessa cosa: non farlo sarebbe una prova di disamore per l’eurozona, ma farlo risolverà poco o nulla, se non cambiano altre cose.

L’allentamento monetario è una mossa contro la deflazione, quasi l’ultima rimasta visto che i tassi d’interesse sono da tempo a zero. Ma non è affatto detto che basti ad allontanarne il pericolo. La maggior parte della moneta ormai è creata dalle banche, e se l’attività economica langue e le banche non fanno prestiti (ostacolati, peraltro, anche dai requisiti di capitale stabiliti dalle norme di Basilea e dalle richieste della Bce) quel canale si prosciuga. Inoltre, sempre da questo punto di vista, un’economia debole genera un circolo vizioso: le imprese non investono, quindi non chiedono soldi; quelle poche che li chiedono se li vedono spesso negare, perché la situazione è tale da aumentare il rischio per le banche, che sono già assai appesantite dall’enorme crescita dei crediti in sofferenza. Ma questo comporta che l’economia si indebolisca sempre di più..

Un meccanismo infernale, che potrebbe essere spezzato in un solo modo: investimenti pubblici che diano una spinta alla domanda. Se non vedono quella i privati stanno fermi, perché per quanto si possa flessibilizzare il mercato del lavoro e ridurre i salari (cosa che peraltro deprime ancor di più la domanda), se non c’è chi compra è inutile produrre cose da vendere.

Come risponde l’Unione europea a questa esigenza? Con il ridicolo Piano Juncker da 21 miliardi (in tre anni, per 28 paesi!) e con la conferma delle regole sull’austerità dei bilanci pubblici, appena scalfite dalle “flessibilità” annunciate nell’ultimo Consiglio europeo, mentre la Germania fa sapere con orgoglio di aver raggiunto il pareggio di bilancio con un anno di anticipo (alla faccia della “locomotiva”!). Intanto il Fondo monetario rivede al ribasso le stime di crecita per quest’anno. Ma il prossimo andrà meglio, sicuramente andrà meglio…

E dunque, chi ancora stesse trattenendo il respiro in attesa delle decisioni della Bce può anche espirare, perché non è da lì che può venire una ripresa degna di questo nome. Finché non cambierà politica continueremo a leggere un immaginario cartello ormai ingiallito con scritto “Quest’anno non si fa crescita, il prossimo sì”.

Fonte: Repubblica.it - 21 Gennaio 2015

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