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La Germania ha costruito il successo sull’aumento della produttivita’

L’eurozona segna, all’ultima conta, un disavanzo con l’estero pari al 2% del Pil dell’area, ma il Paese più importante (la Germania) ha un attivo equivalente al 7% del reddito nazionale. In base a uno dei numerosi protocolli intergovernativi con cui si stanno integrando i trattati sull’unione monetaria, la Commissione europea ha aperto una procedura di «analisi approfondita » che, al limite, potrebbe portare a una sanzione (un deposito infruttifero) nei confronti di Berlino.
Tale sanzione sarebbe tuttavia controproducente: la Bundesbank risponderebbe con freni monetari che, piaccia o non piaccia alla Banca centrale europea, si riverbererebbero su tutta Europa. Rallentando soprattutto il passo dei Paesi più deboli.
In effetti, il problema di come evitare squilibri troppo accentuati nei conti con l’estero fu una delle preoccupazioni principali di John Maynard Keynes alla conferenza di Bretton Woods, come mostra il carteggio con Roy Harrod. Lo conclusione fu che la sola «sanzione » può essere erogata dal mercato apprezzando il cambio (il prezzo di tutti i prezzi) del Paese con un attivo eccessivo. Keynes abbandonò la sua idea di una moneta unica mondiale (il «bankor») per sposare quella di cambi sostanzialmente fissi, ma variabili entro margini stretti e se del caso aggiustabili (con rivalutazioni e svalutazione) in seguito a decisioni collegiali sulla base di analisi del Fondo monetario. Ciò sarebbe stato possibile se fossero ancora in vigore gli accordi europei sui cambi (giornalisticamente chiamati Sistema monetario europeo, Sme), ma non lo è nell’ambito di un’unione monetaria. Gli attivi ed i passivi all’interno dell’unione rappresentano quelle che gli economisti chiamano «fiscal devaluation» e «fiscal appreciation», mutamenti al ribasso o all’insù dei tenori di vita che rispecchiano, principalmente differenziali di produttività e competitività.
I due grafici in pagina mostrano come dal 2000 al 2011 i salari italiani in parità di potere d’acquisto siano stati a lungo stagnanti (e siano diminuiti negli ultimi anni, a ragione dell’aggravarsi del cuneo fiscale), mentre quelli di Germania e Francia (nonché la media Ocse) crescevano. Alla contrazione dei salari italiani è corrisposta una flessione dei consumi.I dati rispecchiano la perdita di competitività.
Nel 2010 la paga mediana, in Germania, era di 15,4 euro l’ora, contro 13,7 euro in Francia, 11,9 euro in Italia. Inoltre , il titolo di studio paga, in Germania, più che in Italia e, in Italia, più che in Francia, il Paese dove la struttura salariale appare più egualitaria e compressa. Per chi si è fermato alla scuola media inferiore, la paga (mediana) è più o meno la stessa in Germania e in Italia: circa 10 euro l’ora (11,4 euro in Francia). Ma, mentre i diplomati italiani e francesi si fermano a 12,6-12,7 euro, quelli tedeschi arrivano a 15,1. La vera impennata, comunque, arriva dopo.Rispetto al diplomato, il salario del laureato tedesco aumenta del 66%, a 25 euro, mentre quello italiano cresce solo del 50 %, a 19,5 euro (17,6 euro per il laureato francese).In Germania i titoli di studio non hanno valore legale come da noi. Eurostat definisce bassi i salari pari o inferiori ai due terzi del salario mediano (dunque, grosso modo 10 euro l’ora in Germania, 8 in Italia). Questi salari bassi sono il 12, 4% del totale in Italia, nelle aziende con più di 10 dipendenti, il doppio della quota francese. Ma molto meno di quanto accada in Germania, dove i bassi salari sono oltre il 22 %, più di un quinto del totale. Ciò documenta che, per essere efficace in termini di aumento della domanda interna, l’aumento dei salari in Germania dovrebbe riguardare quelli bassi (come chiede il partito socialdemocratico nel negoziato per la formazione della grande coalizione).
Ciò non avrà effetti di rilievo, però, se non accompagnato da un vasto programma di investimenti pubblici. Tra il 1991 ed il 2012 la Germania ha tagliato del 20% la propria spesa per infrastrutture. Da anni non completa nuove opere pubbliche e la manutenzione di quelle esistenti spende l’1,5% del Pil rispetto ad una media europea del 2.5%. Le autostrade sono ingolfate; ad esempio, il ponte che collega Colonia con la rete autostradale è stato costruito per una capacità di 85mila auto al giorno, ma deve far fronte a un traffico di 120.000. In termini di reti a fibra ottica, la Germania ha una copertura, in proporzione alla popolazione inferiore a quelle della Estonia, della Lituania, della Romania e della Bulgaria.Un grande programma infrastrutturale potrebbe causare problemi di saldi spesa pubblica, essere neutralizzato da misure restrittive della Bundesbank e soprattutto nel medio periodo accelererebbe ulteriormente produttività e competitività nella Repubblica federale.
Insomma, per ridurre il surplus tedesco dobbiamo diventare più produttivi e più competitivi.Tertium non datur.

Fonte: Avvenire del 23 novembre 2013

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