• sabato , 27 Luglio 2024

Intervista a Hans-Gert Poettering, Presidente del Parlamento Europeo
“Voi italiani, troppo timidi”

Cerimonia d’onore e festa grande martedì mattina a Strasburgo. Alla presentazione del suo programma da neopresidente del Parlamento Europeo, Hans-Gert Poettering ha invitato tutti i predecessori. «Per ora manca solo la signora Veil», ammette soddisfatto il navigato leader popolare, sessantaduenne della Bassa Sassonia che, con un sorriso, aggiunge: «Ci sarà anche un italiano». Emilio Colombo, in carica dal 1977 al 1979, ultima legislatura prima del suffragio universale: lo hanno seguito tre tedeschi, tre francesi, tre spagnoli, un irlandese, un inglese e un olandese, ma nessun connazionale.

Non è un poco per un paese fondatore, Doktor Poettering?
«È andata così, è colpa degli italiani. L’ex sindaco di Bologna, il compianto Renzo Imbeni, avrebbe avuto delle chance, e non lo hanno ricandidato. Se non c’è stato un italiano al vertice non è responsabilità di chi è stato eletto o degli altri gruppi politici».

Strano paese l’Italia, a sentire Poettering. Fatica a esprimere una classe dirigente europea, al Parlamento come nelle altre istituzioni a dodici stelle, eppure dovrebbe essere un modello per tutti. Ora che l’Ue sta rimettendo in moto il processo di riforma costituzionale, il numero uno dell’assemblea comunitaria a cui l’aspetto giovanile ha regalato il soprannome di Harry Pottering pensa agli scettici e parla del Bel Paese, dove sarà in visita nel fine settimana e oggi incontrerà il premier Prodi. «Gli inglesi frenano? Purtroppo non tutti hanno la vostra volontà di unificare il continente. A Roma, indipendentemente dal colore politico, i governi si sono votati alla costruzione europea. Siete un modello da tenere presente».

Possibile. Ma intanto rilanciare una Costituzione azzoppata dai no referendari francesi e olandesi appare difficile.
«Siamo sulla strada giusta. A fine marzo ci sarà la dichiarazione del Cinquantenario. È importante che sia scritta d’intesa da Parlamento, Consiglio e Commissione. Dovrà essere la base politica e psicologica per il vertice di giugno, dal quale ci attendiamo la Road map e il mandato per il futuro Trattato».

Con quali contenuti?
«Si deve riconoscere ciò che abbiamo ottenuto dal 1957. Allo stesso tempo, vanno riaffermati i valori comuni: dignità dell’uomo, democrazia, stato di diritto. Dobbiamo votarci alle riforme e risolvere insieme le sfide del mondo di oggi, ambiente, diritti umani, energia, politica della sicurezza».

C’è chi rema contro. Gli inglesi ad esempio.
«L’Europa è stata forte nonostante i compromessi. Possiamo farcela anche stavolta».

Si arriverà a una conferenza intergovernativa. Siete pronti ad accettare che, come in passato, il Parlamento sia escluso?
«La questione di quale procedura scegliere è ancora aperta. Dobbiamo avere la possibilità di dire la nostra in modo efficace e decisivo. Ci sono cinque mesi per decidere. Non è tempo di mettere le cose in dubbio».

L’esito del voto francese potrebbe mettere a rischio l’asse franco-tedesco da sempre motore dell’Europa.
«La collaborazione fra Parigi e Berlino è sempre stata molto importante. Ma questo non deve significare che i due paesi cercano di dominare gli altri. Il loro legame deve essere una base per lavorare bene con gli altri».

Entrambi i candidati presidenziali francesi non si stanno dimostrando molto proeuropei. Come la mettiamo?
«L’Europa non può essere costruita senza la Francia. Essere alla guida dell’Eliseo attribuisce delle grandi responsabilità. Sono certo che il prossimo presidente, chiunque sia, accetterà la sua responsabilità nei confronti dell’Europa».

Abbiamo un evidente problema di disagio sociale. Ha visto la guerra del calcio in Italia?
«Una cosa terribile, inaccettabile, i colpevoli vanno puniti con fermezza. La società civile deve trovare le soluzioni adeguate per combattere ogni violenza. Si comincia con l’educazione, nella famiglia e nella scuola. La risposta migliore è nell’integrazione ad ogni livello. Le sfide che affrontiamo in questo 2007 sono differenti rispetto a quelle del 1957. Il disagio sociale è una delle novità».

Un’altra prospettiva dovrebbe essere l’allargamento. Congelato il dossier turco, però, nessuno ne parla.
«L’Europa a 27 è figlia di una necessità morale e politica che si sta tramutando in successo economico e politico. Non vedo però un nuovo allargamento se non sarà realizzata la sostanza del trattato costituzionale. Forse, l’unica eccezione potrebbe essere la Croazia».

E la Turchia? I Balcani?
«Il negoziato con Ankara è aperto, c’è grande interesse per il processo di riforme avviato. Fra otto-dieci anni, vedremo a che punto siamo. Ai Balcani serve una prospettiva europea. Ci vorrà tempo. Per ora la priorità è il futuro del Trattato costituzionale».
Un’altra prospettiva dovrebbe essere l’allargamento. Congelato il dossier turco, però, nessuno ne parla.
«L’Europa a 27 è figlia di una necessità morale e politica che si sta tramutando in successo economico e politico. Non vedo però un nuovo allargamento se non sarà realizzata la sostanza del trattato costituzionale. Forse, l’unica eccezione potrebbe essere la Croazia».

E la Turchia? I Balcani?
«Il negoziato con Ankara è aperto, c’è grande interesse per il processo di riforme avviato. Fra otto-dieci anni, vedremo a che punto siamo. Ai Balcani serve una prospettiva europea. Ci vorrà tempo. Per ora la priorità è il futuro del Trattato costituzionale».

Fonte: La Stampa del 9 febbraio 2007

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