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Il mondo investe qui si taglia

La cosa più deprimente dell’accordo sul bilancio europeo è proprio la giustificazione data ieri dai vertici di Bruxelles: è il massimo possibile. Ma come può essere? Siamo nel mezzo della seconda recessione europea in soli quattro anni.
Bisognava rivedere il senso del bilancio e farne uno strumento di crescita. Invece non ci si è nemmeno provato. Eppure riflessioni fondamentali su come riformare l’uso comune delle risorse erano state preparate proprio dalla Commissione da anni. È finita con la solita trattativa notturna durante la quale, rispetto alla proposta di novembre, sono calate le spese nella ricerca, nelle infrastrutture tra paesi e nelle reti dell’energia, alcune tra le voci con maggiore capacità di stimolo economico.
La situazione fiscale europea è migliore di quella americana, ma se martedì prossimo a Washington il presidente Obama presentasse lo «Stato dell’Unione» annunciando tagli agli investimenti verrebbe cacciato. Nella retorica attuale, il bilancio Ue è solo una partita di giro mal congegnata tra paesi ricchi. Ma ora che le differenze tra paesi sono tornate a crescere, anziché diminuire, il bilancio Ue aveva un significato sostanziale. La rinuncia a ogni ambizione fa pensare invece che i capi di governo europei si siano allegramente arresi. Con superficiale pragmatismo molti di loro hanno volenterosamente deposto le armi e smesso di combattere per l’Europa. Questo sistema di interdipendenza economica e indipendenza politica sembra loro troppo complicato da gestire tra 27-28 stati membri gelosi di se stessi e diffidenti degli altri.
Con semplicità un tempo si parlava di egoismo, poi di assenza di visione, ora di declino di un’idea.
Per la prima volta nella sua storia infatti la direzione dell’Europa si è invertita. L’Unione “sempre più stretta” scritta da decenni nei Trattati sembra solo un cartello pubblicitario. Con l’accordo di ieri il bilancio settennale (2014-2020) dell’Unione scende del 3% rispetto al bilancio precedente (2007-2013) e del 7% rispetto alla proposta iniziale della Commissione.
Nel 2020 però i tagli reali saranno addirittura nell’ordine del 20%. Non è solo un problema di dimensioni finanziarie. Il bilancio europeo non è infatti solo capacità di spesa, ma l’identificazione di obiettivi comuni di efficienza e di solidarietà. Di questo passo, della personalità politica europea resterà solo l’ombra su un muro.
Nella sostanza ha prevalso il solito ricatto di David Cameron e il fastidio di Germania, Olanda, Svezia e Danimarca. La retorica dei Sig (Svezia Inghilterra e Germania) in particolare è che in tempi di austerità nazionale, anche i bilanci europei devono tagliare le spese. D’accordo, c’è la casta di Bruxelles da ridimensionare, tuttavia la motivazione del rigore europeo da accoppiare a quello nazionale è tecnicamente suicida.
Prevalevano, lo sappiamo tutti, i pretesti elettorali che spingevano il totale del bilancio a scendere verso i 900 miliardi (il bilancio prevede infatti spese per 960 miliardi ma pagamento effettivo di contributi solo per 908) che Cameron voleva propagandare a Londra. A tal punto che il premier inglese era disposto a barattare il taglio al bilancio con riduzioni di dimensione omeopatica alle spese per l’agricoltura care a Parigi e che pure erano il bersaglio della sua campagna per un bilancio efficiente. L’estremismo di Cameron consente a Merkel di fingersi mediatrice e in realtà curare i propri interessi elettorali (il leggero peggioramento del saldo netto si vede solo in termini percentuali) di fatto allontanandosi ancora da Parigi.
Il negoziato è diventato infatti un percorso tra interessi politici locali più ancora che tra interessi nazionali. Cambiata la valenza politica della discussione sul bilancio, ognuno ha salvato se stesso, smettendo di cercare una soluzione comune (un economista parlerebbe di «equilibrio di Nash»).
Secondo i presenti, Mario Monti ha negoziato molto duramente per rimediare alla disastrosa situazione del bilancio precedente ereditata dalla trattativa del 2005 riducendo il contributo italiano allo 0,23% del Pil e recuperando risorse per le regioni più povere. La cancelliera Merkel lo ha sottolineato pubblicamente a Bruxelles definendolo un «miglioramento della posizione negativa dell’Italia» che rimane comunque contributore netto al bilancio.
Tuttavia resta il paradosso che i capi di Stato e di governo hanno lasciato nel bilancio europeo proprio le spese a più basso moltiplicatore, quelle che gli Stati non possono più permettersi a fronte di elettori diffidenti e carichi fiscali eccessivi. Tra le voci del bilancio Ue più colpite dai tagli saranno infatti quelle di infrastruttura comune che in un momento di bassa occupazione avrebbero avuto un elevato moltiplicatore fiscale. Bisognerà vedere nel dettaglio i tagli alle spese in ricerca e innovazione che anch’esse, se ben congegnate, avrebbero sostenuto lo sviluppo. Invece che un volano della crescita l’Ue diventa così la sentina dei costi politici degli stati membri.
Il presidente del Consiglio europeo, Herman van Rompuy e il suo staff hanno sbagliato la trattativa fin dal novembre scorso, quando il Consiglio avrebbe dovuto chiudere il negoziato anziché lasciarlo aperto. Nei lavori preparatori van Rompuy ha poi condotto solo negoziati bilaterali senza una traccia di testo comune. È una tattica negoziale quella di non presentare alcun documento scritto fino a che non si ha una ragionevole certezza che sarà approvato. Ma in tal modo si lascia l’iniziativa ai negoziatori più estremi anziché a quelli più vicini al compromesso. È d’altronde lo stile di van Rompuy, da ex capo di governo è molto più attento ai rapporti di forza bilaterali che al disegno comune.
Ora gli occhi sono puntati sul Parlamento europeo che ha lamentato di essere stato espulso dal negoziato ma che in base all’articolo 312 del Trattato deve approvare il bilancio. Merkel è convinta che il Parlamento approverà l’accordo, nonostante il suo presidente, Martin Schulz, sia uno dei leader del partito d’opposizione al suo governo a Berlino.
Secondo la cancelliera i 52 miliardi di differenza tra impegni e pagamenti iscritti ieri a bilancio serviranno proprio per acquistare il consenso del Parlamento di Strasburgo. Un’acrobazia d’alta scuola che finirebbe per lasciar tutti sconfitti, per primo Cameron, ma in grado di gridarsi vittoria davanti allo specchio del bagno.

Fonte: Sole 24 ore del 9 febbraio 2013

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