Amazon e Barnes & Noble hanno arruolato i capi nel campo avverso.
Strano mestiere, quello degli editori di libri, oggi negli Stati Uniti. Il loro beniamino, l’uomo della speranza, è un quarantenne texano che fino al 2009 non sapeva nulla di carta e rilegature: uno che si è fatto le ossa col marketing delle bevande alcoliche (Seagram e Guinness), passando poi a sviluppare popolari siti del commercio online come «Gifts.com». Meno di tre anni fa, però, William Lynch è passato a sorpresa a Barnes & Noble. E ora sta disperatamente cercando di risollevare le sorti dell’ultima grande catena di librerie d’America della quale è divenuto amministratore delegato.
Il nemico giurato degli editori, invece, è un distinto intellettuale newyorchese di 67 anni che ha passato tutta la sua vita nelle cattedrali di carta: ex capo della casa editrice del gruppo Time Warner, dove era sbarcato dopo le esperienze in Random House e a Little Brown, Larry Kirshbaum da maggio scorso è andato a lavorare per Amazon dove, da vicepresidente della divisione publishing, cerca di costruire un rapporto diretto con autori di prestigio, scavalcando gli editori tradizionali. Molti di loro, viste le enormi riserve di liquidità di Amazon e la sua abitudine di «guardare lontano» anche accettando grosse perdite iniziali, temono che l’azienda di Jeff Bezos voglia fare terra bruciata offendo agli autori anticipi principeschi. Così gli editori, che già accusavano Amazon di fare dumping tenendo troppo basso il prezzo degli ebook, si troverebbero addirittura privati della loro «materia prima».
«Ma non possono fare molto perché Amazon, che ora diventa un loro concorrente, è ormai, per loro, anche un canale di vendita irrinunciabile», racconta Brad Stone, un giornalista che sta per pubblicare un saggio sulla rivoluzione dei libri digitali: «Sulla West Coast» – ha scritto Stone sull’ultimo numero di «Business Week» – «le imprese tecnologiche definiscono questo tipo di situazioni “cooperazione fruttuosa”. Sulla East Coast, invece, gli editori ne parlano come di situazioni nelle quali vengono pugnalati alle spalle».
L’unica cosa certa è che nei mesi prossimi assisteremo a battaglie senza esclusione di colpi. Uno scontro nel quale la vittoria della corazzata Amazon, forte delle sue tecnologie, di una straordinaria rete di vendite online e di una potenza di fuoco finanziaria illimitata (la società di Bezos vale 88 miliardi di dollari, Barnes & Noble 110 volte di meno), è probabile ma non scontata: fin qui, ad esempio, Kirshbaum è riuscito a mettere sotto contratto qualche autore di best seller come l’attore James Franco e Timothy Ferriss, il guru del fai da te, ma ha fallito coi romanzieri di rango.
Ma il team di Amazon non si è mai preoccupato delle partenze lente: anche quella del Kindle, in fondo, lo è stata. Comunque è proprio sul terreno del libro elettronico che Barnes & Noble ha deciso di scatenare la controffensiva. Per questo in plancia, oggi, c’è un uomo di tecnologie digitali come Lynch che ha spostato il baricentro degli interessi dell’azienda dagli uffici della Fifth Avenue a New York ai laboratori di Palo Alto, nella Silicon Valley, che hanno appena messo a punto una nuova versione – la quinta – del Nook: il tablet col quale la grande azienda di distribuzione libraria cerca di contrastare lo strapotere del Kindle di Amazon.
Scommessa coraggiosa, quella di Lynch, che ha reclutato tecnologi e computer scientist di rango, come l’indiano Ravi Gopalakrishnan che ha raccontato al «New York Times» tutto lo stupore di amici e collegi quando hanno saputo che avrebbe messo le sue capacità professionali al servizio di un «business del passato». In realtà il Nook sta avendo un successo superiore alle previsioni e la nuova versione potrebbe anche rosicchiare altre quote di mercato al Kindle. Anche per questo la battaglie degli autori diventerà incandescente, con Barnes & Noble pronta a negare gli scaffali delle sue librerie agli autori i cui ebook saranno disponibili sul Kindle ma non sul Nook.
William Lynch, passato dal commercio online alla Barnes & Noble; a destra: Larry Kirshbaum, passato dal gruppo Time Warner ad Amazon
Una sorta di guerra civile che gli editori non possono che combattere sulle barricate della grande catena di librerie, ma dalla quale rischiano di essere schiacciati. Tanto più che la sensazione generale è quella di uno tsunami in arrivo per i volumi di carta le cui vendite (libri per adulti) l’anno scorso sono calate del 18 per cento rispetto al 2010. Il sistema di distribuzione, infatti, negli ultimi anni ha perso ben 500 librerie indipendenti, alle quali vanno sommati i 650 punti vendita della catena Borders, secondo libraio d’America, fallita l’anno scorso. E non è certo incoraggiante il fatto che, pur dovendo confrontarsi con una concorrenza di dimensioni assai ridotte, Barnes & Noble, unico gigante della distribuzione rimasto in attività, abbia appena annunciato che per il 2012 sta mettendo in bilancio perdite superiori a quelle previste finora.
Ma Lynch, pur pensando a qualche ridimensionamento dei locali delle sue 703 librerie sparse in tutti i 50 Stati dell’Unione, non ha alcuna intenzione di rinunciare alla sua rete di distribuzione fisica. Nei suoi store , però, cresceranno gli spazi per la ristorazione, i videogiochi, la vendita dei Nook, a scapito degli scaffali. La battaglia vera rimane quella del tablet che adesso Barnes, una società che è sempre stata concentrata sul mercato Usa, ha deciso di cominciare a vendere anche all’estero. Si parte dalla Gran Bretagna, con la catena di librerie Waterstones. Poi lo sbarco nell’Europa continentale.
Gli editori americani osservano col fiato sospeso: se fallisse anche Barnes & Noble rimarrebbero con un unico canale per la distribuzione di massa: le catene dei supermercati generalisti come Walmart e Target, che, però, si limitano ad acquistare pochi bestseller, ignorando il grosso della produzione libraria.
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