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E’ scontro sulla caduta di Berlusconi. Tremonti non ci sta e da la colpa al Colle

Sulla caduta di Berlusconi è scontro aperto. L’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, non ci sta e si difende: non condividevo i contenuti del decreto anti-crisi, ma Napolitano colse l’occasione per opporsi.Ma i suoi ex colleghi lo impallinano. In una lettera Pasquale Cascella lo accusa di aver chiesto al Colle di non firmare. Ma il Quirinale si sfila: non siamo un parafulmine.
Chi ha ucciso – politicamente – il samurai Berlusconi?
Anche nella versione del film Rashômon trasportata dalle foreste di Kyoto alle stanze di palazzo Chigi e del Quirinale, le verità sono diverse, contrastanti. Un ex ministro, Renato Brunetta, imputa al Capo dello Stato un intervento improprio, per bloccare un provvedimento fondamentale per la sopravvivenza del governo: il decreto sviluppo. Il presidente Giorgio Napolitano puntualizza: ho frenato sul decreto perché convinto in tal senso dal ministro dell’Economia. Un altro ex ministro, Paolo Romani, accusa il Giulio Tremonti di aver sempre remato contro il provvedimento. E questi ribatte: «La verità è nel verbale del Consiglio dei ministri».
La lettera al Giornale del portavoce del Quirinale, Pasquale Cascella, in risposta a un articolo di Brunetta riapre una ferita ancora non rimarginata. Che cosa è accaduto veramente nelle ultime, convulse giornate del governo Berlusconi? Chi ha bloccato il decreto sviluppo che il premier avrebbe voluto portare a Cannes, al vertice del G20, per dimostrare coi fatti la volontà di mettere in atto le richieste dell’Europa? Napolitano, Tremonti, i due insieme, nessuno dei due? Che cosa è accaduto al Consiglio dei ministri del 2 novembre?
La verità del Quirinale Scrive Cascella: «Il capo dello Stato ricevette Tremonti prima del Consiglio dei ministri. Il ministro s’era detto convinto che si dovessero definire solo le misure più urgenti fra quelle indicate» e lo si dovesse fare attraverso emendamenti alla legge di stabilità. Il presidente Napolitano «ritenne di esprimersi a favore della soluzione indicata dal ministro», e inviò al sottosegretario Gianni Letta un messaggio in cui palesava la propria indisponibilità a firmare il decreto. Il provvedimento, a quel punto, venne congelato, e si fecero gli emendamenti al decreto di stabilità.
Ma perché Napolitano prese la decisione consultandosi solo con Tremonti e non con Berlusconi?
La verità di Tremonti «Non ho alcun interesse per le polemiche. Si tratta di carte ufficiali relative a dati di governo. La verità è nel verbale del Consiglio dei ministri», commenta Tremonti. Il verbale racconta che verso le 20 la riunione in cui si discuteva il decreto sviluppo venne sospesa. Alla ripresa, Letta comunicò che il capo dello Stato aveva fatto sapere che avrebbe avuto difficoltà a firmare un decreto che conteneva «un coacervo di norme anche estranee alla lettera di intenti ed obiettivi» inviata dal governo a Bruxelles il 26 ottobre. Nelle settimane intercorse nella stesura del decreto sviluppo, Tremonti si era «messo in sciopero», come lui stesso disse scherzando. Non ne condivideva i contenuti, si era sentito emarginato. Inoltre aveva forti riserve sia sull’urgenza che sulla copertura finanziaria del provvedimento. Nelle stanze del Tesoro ricordano che Tremonti aveva informato sia Berlusconi sia Napolitano delle proprie perplessità sul merito del decreto e sulla copertura. Nella lettera di Cascella al Giornale si intravede poi un intervento «a gamba tesa». Il Quirinale si sarebbe irritato perché Brunetta ha sottolineato, a ragione, il ruolo improprio svolto dal capo dello Stato.
La verità dei ministri «Chiesi a Tremonti se aveva parlato del decreto con Napolitano. Mi rispose: ma figurati, abbiamo parlato d’altro». Paolo Romani, con Renato Brunetta e Roberto Calderoli, era uno dei tre ministri che avevano firmato il decreto. «In cento punti conteneva – ricorda – le risposte alle richieste europee. Tremonti si era chiamato fuori, ma è chiaro che il suo parere e la bollinatura della Ragioneria generale dello Stato erano comunque essenziali». E la copertura? Osserva un altro dei ministri firmatari: «Come mai sono stati trovati i soldi per Monti, i 4,7 miliardi per i pagamenti dei debiti dello Stato alle imprese»? Il bilancio è lo stesso, ma Tremonti remava contro almeno dall’inizio dell’estate. Non manca la polemica col Quirinale: «Nessun coacervo di norme, ma una risposta puntuale alle richieste dell’Ue. Il 70% di quelle norme è contenuta nei decreti Monti». Ma perché i cordoni della borsa si sono aperti per Monti e non per Berlusconi?
Il resto della storia è noto. Pochi giorni dopo l’infruttuoso vertice di Cannes, sotto la spinta dello spread, Berlusconi e il suo governo si dimettono. Adesso Fabrizio Cicchitto, capogruppo Pdl alla Camera, sta ricostruendo quelle vicende. Parla di una «partita contro l’Italia» giocata dal duo Merkel-Sarkozy in combutta con l’opposizione di sinistra. Accusa la Lega di aver bloccato «l’ultimo miglio» della riforma delle pensioni. Imputa a Tremonti il «no» al decreto sviluppo e all’aumento dell’Iva.
Il Rashômon originale non ha una conclusione rivelatrice. E neppure sulla versione italiana si è aperto del tutto il sipario.

Fonte: Il Giornale 8 febbraio 2012

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