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Berlino e Parigi non scarichino i loro vizi sull’Europa

I tempi per avviare l’azione di governo sono stretti. Le attese per una risposta europea alla crisi sono infatti puntate al 9 dicembre, in vista del prossimo vertice a Bruxelles dei capi di Stato e di Governo. Ma è bene sapere che a oggi la “soluzione europea” non è sul tavolo: non solo sarà difficile coinvolgere la Bce nel sostegno esplicito ai titoli sovrani, ma anche le acrobazie per rafforzare il fondo salva-stati sono evanescenti.
E l’aumento degli spread, in Francia e in particolare in Spagna, misura una febbre che aumenta anziché diminuire.
Entro questo breve orizzonte, l’Italia – oggi il principale fattore di novità politica in Europa – deve dunque fare tutto il possibile per mettere al riparo se stessa, togliendo alibi a una mancata soluzione europea. L’effetto-Monti ha già suscitato reazioni positive, come si vede dallo stabilizzarsi dello spread italiano rispetto a quello spagnolo. Sostegni politici sono venuti ieri nuovamente dalla cancelliera Merkel e dal ministro Schäuble.
La settimana scorsa la sola indicazione del nome del presidente incaricato aveva ridotto gli spread di cento punti nonostante la Bce – si è saputo ieri – avesse tagliato della metà gli acquisti sul mercato dei titoli sovrani. L’asta di ieri con rendimenti elevati del 6,29% dimostra tuttavia che la strada sarà lunga e molto accidentata. Per affrontarla il nuovo Governo dovrà presentare nei tempi più rapidi un intervento incisivo in due passaggi. La logica fa pensare che debba provvedere subito a un taglio al deficit e al debito e appena dopo un pacchetto di misure per la crescita.
Perché ciò sia politicamente accettabile bisogna disperdere un po’ di nebbia polemica: l’Italia non si sta scontrando con un asse franco-tedesco che vuole controllare la sua sovranità. La realtà è purtroppo meno affascinante. Sarkozy è ben poco influente nei suoi tentativi di convincere la Merkel che non è necessario prendere per forza tutte le decisioni sbagliate prima di azzeccare quella giusta.
Il duplice blocco di fronte a cui si trova il nostro Paese è ancora quello di mercati che hanno ragioni – alcune di natura tecnica – per non investire nei titoli italiani e di un Governo tedesco che non riesce ad aggirare la resistenza della Bundesbank. È in corso, infatti, un braccio di ferro tra Merkel e il suo ex consigliere Jens Weidmann ora a capo della Banca centrale tedesca. Da quando è entrato nel palazzo di Dornbusch alla periferia di Francoforte, Weidmann ha assunto una retorica che ricorda quella dei vecchi governatori euroscettici che l’ex cancelliere Helmut Schmidt liquidava come “nazionalisti tedeschi”. La Bundesbank si sta mettendo di traverso in ogni soluzione che la coinvolga, compreso il rafforzamento del fondo salva-Stati. Un’involuzione sorprendente per chi conosce Weidmann da anni.
Da Lipsia la cancelliera Merkel ieri alzava la retorica e la bandiera europea: difendiamo l’euro perché se fallisce la moneta unica fallisce l’Europa. Ma nelle stesse ore Weidmann lanciava una campagna stampa per spiegare che gli interventi della Bce a favore dell’Italia sono superflui: l’Italia è un Paese benestante, non in bancarotta come la Grecia, quindi può procurarsi i soldi da sé, alzando le tasse. Come se fosse un problema fiscale italiano il fatto che le banche tedesche, francesi e inglesi stiano scaricando i BTp per evitare di ricapitalizzarsi e di pulire i loro bilanci ancora pieni di carta tossica.
La partenza di Silvio Berlusconi ha tolto un alibi a Berlino. Riferendosi al cambio di governo in Italia, ieri Merkel ha osservato suggestivamente che ora «ci troviamo tutti dentro un unico spazio politico europeo».
Tuttavia, il fatto che ad agosto dopo gli interventi della Bce il Governo italiano avesse rinviato per mesi le riforme e gli interventi sul bilancio ha purtroppo rafforzato la diffidenza e la logica punitiva: «Nessuno è contento del fatto che i rendimenti dei BTp siano così elevati, ma è servito a far sì che l’Italia si confrontasse con le proprie responsabilità» dicono alla cancelleria, rivendicando la “politica dell’incertezza” che lascia spazio ai mercati per tenere sulla corda gli altri Paesi.
Non sembrano dunque esserci scorciatoie. Roma deve fare subito un aggiustamento che tolga dubbi sulla sostenibilità del debito. Deve farlo entro il 9 dicembre per sé e per mettere i partner europei finalmente davanti alle loro responsabilità.

Fonte: Sole 24 Ore del 15 novembre 2011

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