• sabato , 27 Luglio 2024

A urne chiuse prime riflessioni

Ieri si sono chiusi i seggi delle primarie e i risultati sono in gran parte già noti. Non per noi al momento anticipato in cui scriviamo. Quel che possiamo dire fin d’ ora è che la sfida del sindaco di Firenze ci ha ridato dopo molto tempo il gusto di una battaglia elettorale democratica. Se ne può cominciare a discutere fin d’ ora. Anzitutto si può facilmente presumere che l’ affluenza avrebbe raggiunto dimensioni anche maggiori, con un risultato finale probabilmente scostato da quello registrato, se l’ accesso alle urne fosse stato facilitato invece che ostacolato da norme inventate per scoraggiare l’ afflusso. Ciò detto va aggiunto che non saremmo arrivati ad un conteggio che annovera milioni di firme solo se i bersaniani avessero rinunciato al sistema frenante messo in atto, soprattutto al secondo turno. Il moltiplicatore è stato un altro, di ben altra forza e suscitatore di una spinta autopropulsiva che nessun pavido tattico era in grado di frenare. In termini economici si potrebbe indicarlo come la potenza dell’ offerta in un mercato concorrenziale. Non vogliamo in proposito vantare primogeniture ma dalla fondazione del Pd (14 ottobre 2007) su queste colonne apparve chiarissima (in alcuni editoriali del direttore e in un decalogo del sottoscritto) la rivendicazione davvero dirompente di fare del nuovo partito un organismo esplicitamente contendibile, in cui la vischiosità paralizzante degli apparati di origine venisse sterilizzata dal primo giorno. Una richiesta semplice a formularsi ma tutt’ altro che facile a realizzarsi. E a questo punto va detto, senza ipocrisie, che una contesa possibile ha cominciato a delinearsi solo dall’ entrata in gioco di Matteo Renzi che ha dato a tutti, votanti e contendenti il senso vero che questa volta il loro voto e il loro personale impegno contavanoe la competizione non si sarebbe conclusa con la solita manifestazione plaudente a favore di questo o quel candidato già scelto nei noiosi ludi di apparato. Come avvenne con Prodi senza sua colpa. Del resto basta immaginare quale sarebbe stata la dinamica, le passioni in piazza, la riscoperta per tanti della politica, lo spettacolo direi, se queste primarie si fossero svolte per incoronare un candidato dato vincente per tutti già in partenza. La noia e il deja vu avrebbero impregnato la regia. Per questo appare assurdo che uomini con il Dna di Berlinguer o di Moro si fossero sentiti all’ inizio offesi da una simile contaminazione più generazionale che altro. E per fortuna solo l’ intuitivo buon senso emiliano, di cui Bersani raccoglie il merito, poteva riuscire a smorzare l’ assurdo incrociar delle lame. Con il risultato di accorgersi, a partire dalle ultime settimane, che miracolosamente la disfida così chiara ed esplicita, stava dando vita, finalmente, a quel partito nuovo che tutti avevano sognato e ormai quasi dimenticato. A questo punto l’ idea che, quali che fossero i risultati, quel partito stava finalmente nascendo ha fatto risorgere antichi entusiasmi, in vecchi e giovani e azzarderei di dire che lo slogan sui “rottamatori” si è spogliato del suo sapore offensivo, per far acquisirea Renzi la virtù oggettivae concreta del “rinnovatore”. Tutto questo è avvenuto senza grandi disegni strategici ma per l’ incrociarsi tra l’ iniziativa spericolata di un giovane uomo politico e le riposte aspirazioni di milioni di militanti di sinistra. In un discorso al C. C. del Pci del febbraio1962, Palmiro Togliatti disse: «Senz’ altro da respingere ritengo sia l’ opinione che qualunque cosa venga fatta, non cambierà nulla della situazione, perché non… non cambierà la classe dirigente e saranno sempre gli interessi di questa classe dirigente che prevarranno su tutto. Si tratta del tradizionale nullismo massimalistico che, per quanto si possa nascondere sotto il manto di affermazioni dottrinarie, è pur sempre nullismo, cioè incapacità di comprendere le trasformazioni che si compiono nell’ assetto economico e politico della società….».

Fonte: Repubblica del 3 dicembre 2012

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