di Giuseppe Pennisi
Siamo nel mezzo di una lunga estate calda. Non con riferimento alle condizioni atmosferiche o climatiche, ma alla situazione politica e ai suoi effetti sull’economia. A fine giugno, il rapporto del Centro studi Confindustria e quello di Assolombarda hanno indicato che si sta uscendo dalla crisi e che la crescita del Pil potrebbe toccare l’1,3%: Dieci anni fa, ciò era considerato come il tasso naturale di crescita di un Paese dalla dinamica demografica e dalla struttura produttiva dell’Italia.
La crescita sarebbe trainata dall’export, come è sempre avvenuto, in un Paese trasformatore come il nostro. Meno ottimisti i 20 istituti econometrici del gruppo del cosensus (tutti privati, nessuno italiano): vedono una crescita che si arresterà sull’1%. La differenza – un terzo – non è poca cosa. Il traino dell’export è dubbio, vista la ripresa del protezionismo sia in America, sia in Asia, sia anche in Europa. Il problema di fondo da risolvere in questa estate calda è più politico che economico. Vista dall’estero, l’Italia appare come un Paese frenato da un frazionamento politico, da una frammentazione sociale e da un mancanza di leadership che rendono difficile formulare e attuare una politica economica di crescita sostenuta. In Parlamento, le forze politiche non riescono nemmeno a trovare un accordo sui cardini di una legge elettorale, nonostante la legislatura sia giunta alla sua scadenza naturale.
Un economista, come è il vostro chroniqueur, può solamente constatare quello che è un dato di fatto ormai noto a tutti. Come uscirne? Le elezioni amministrative suggeriscono una strada: dove si riformano forze abbastanza omogenee di centrodestra e di centrosinistra, ciascuna su pochi punti ma di interesse al territorio, si può sperare un governo locale in grado di formulare un programma e di realizzarlo. Si può tentare questa strada a livello nazionale? Per il momento non ne vedo altre. Sia il centrodestra sia il centrosinistra dovrebbero lasciare da parte i personalismi e cercare quattro o cinque caratterizzanti che formerebbero il nucleo condiviso del programma, lasciando a ciascuno libertà di proposta e di azione negli altri campi, spesso più vicini a sensibilità territoriali o di gruppi specifici.
In questo modo si potrebbe risolvere il problema della legge elettorale prima e quelli di programmi essenziali poi. Lasciando a dopo le elezioni, sulla base dei risultati elettorali, il problema di chi andrà a palazzo Chigi (in caso di vittoria). Come si faceva un tempo. Con esiti non tanto malvagi: il miracolo economico, la lotta al terrorismo, l’abbattimento dell’inflazione senza contenere eccessivamente la crescita. Tutti risultati di cui gloriarsi.
Fonte: Dal mensile Formiche Una Lunga Estate Calda