• martedì , 5 Novembre 2024

Una crescita diseguale

di Carlo Cottarelli

L’Italia cresce rapidamente, ma chi sta beneficiando di questa crescita? L’inflazione è alta e chi ha redditi fissi ne subisce le conseguenze. Si sta realizzando un forte cambiamento nella distribuzione dei redditi che non è giustificato da nessuna ragione economica. È solo l’effetto dell’inflazione. Occorre porvi rimedio. Facciamo un po’ di conti.

I dati pubblicati dall’Istat due giorni fa suggeriscono che il Pil “reale” (cioè senza tener conto dell’inflazione) possa crescere del 3,5-4 per cento quest’anno rispetto al 2021. L’aumento dei prezzi al consumo viaggia intorno al’8 per cento. Gli aumenti più forti si registrano però per i prodotti importati. Quindi, la media dei prezzi dei beni e servizi prodotti all’interno (il “deflatore del Pil”) cresce di meno, circa del 4-4,5 per cento. Quindi il Pil in euro (prezzi più quantità) dovrebbe crescere quest’anno intorno all’8 per cento. Questo è l’aumento del valore in euro di quello che viene prodotto in Italia, la “torta” da distribuire”.

Quanto stanno crescendo le retribuzioni? L’Istat ci dice che le retribuzioni contrattuali sono cresciute nel primo semestre dello 0,8 per cento rispetto all’anno scorso, un po’ di più per l’industria, un po’ meno per i servizi. Lo squilibrio tra aumento del Pil (8 per cento per l’anno) e delle retribuzioni (0,8 per cento per ora) comporta che la distribuzione del reddito si sta sbilanciando a favore dei profitti e dei redditi degli autonomi, non vincolati da contratti che risalgono a quando l’inflazione viaggiava all’1 per cento. Chi riceve retribuzioni basate su quei contratti sta subendo un taglio reale, cioè al netto dell’inflazione, molto elevato.

Attenzione: per la parte dell’aumento dei prezzi dovuta ai prodotti importati, non c’è nulla da fare. L’Italia nel suo complesso deve pagare al resto del mondo circa 80-100 miliardi in più quest’anno (rispetto al periodo pre- Covid) per l’aumento delle materie prime. Questo maggior costo, se fosse equamente distribuito, ricadrebbe su tutti: lavoratori dipendenti, autonomi e imprese. Sta invece ricadendo, in modo sproporzionato, sui lavoratori dipendenti, mentre gli altri si difendono aumentando i prezzi per i prodotti che vendono.
Via via che i contratti sono rinegoziati, il problema potrebbe essere risolto. Ma, nel frattempo, c’è chi subisce una perdita elevata. A questa perdita si aggiunge quella che deriva dall’erosione dei risparmi investiti in attività finanziarie (come depositi bancari e titoli a reddito fisso) che hanno tassi di interesse vicini allo zero. Queste attività sono detenute da tutti, ma è possibile che i lavoratori dipendenti, più tradizionali nei loro investimenti, siano più esposti all’erosione del valore reale dei loro risparmi (una vera e propria “patrimoniale” di proporzioni enormi).

Che si può fare? Gli stanziamenti del governo a sostegno di famiglie e imprese sono ingenti (quasi 50 miliardi quest’anno, compreso i 14 che arriveranno nei prossimi giorni). Ma vanno a tutti (anche se in misura maggiore ai redditi bassi e, ora, ai pensionati con l’anticipo della perequazione) e sono finanziati da tutti, compresi i lavoratori dipendenti, visto che le risorse vengono dal maggior gettito delle imposte indirette, tranne la parte finanziata dalla extra tassazione delle imprese energetiche. Occorre allora concentrare meglio le risorse pubbliche disponibili sui lavoratori dipendenti. Ma non basta.

Alcune imprese (tra cui Acqua Sant’Anna, Cucinelli e Brembo) hanno erogato bonus straordinari ai dipendenti. Di recente Alberto Bombassei ha sostenuto che le imprese dovrebbero fare la propria parte per limitare l’erosione del potere d’acquisto dei lavoratori dipendenti. Le parti sociali dovrebbero quindi affrontare il problema per i nuovi contratti (ovvio) e per quelli in corso, per lo meno con adeguamenti una tantum (in attesa del rinnovo dei contratti), con l’impegno di non riversarli sui prezzi. Lo stato potrebbe esentare questi aumenti da tassazione. Cambiamenti nella distribuzione del reddito sono talvolta necessari e possono avere motivazioni economiche strutturali, ma cambiamenti dovuti a un’inflazione che nessuno si aspettava sono del tutto ingiustificati, non solo socialmente ma anche economicamente.

(la Repubblica del 31/07/2022)

Fonte: la Repubblica del 31/07/2022

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