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Toh, risale lo spread. Ma Monti non c’entra: è colpa della Spagna

Per gli analisti l’economia di Madrid è quasi al default. Ora si avvicina un nuovo attacco speculativo degli Usa.
«La situazione in Europa resta difficile e la piena soluzione della crisi richiede un ulteriore rafforzamento del sistema bancario». Di nuovo cattive notizie. E siamo solo all’inizio. La scorsa settimana gli spread sono aumentati di 40 punti: dal minimo di 278 lunedì 19 marzo (livello molto vicino ai 273 punti del 17 agosto 2011), venerdì 23 marzo sono passati a 318 punti.Anche a leggere il botta e risposta tra il presidente del Federal Reserve, Ben Bernanke (è sua la frase riportata all’inizio ell’articolo), e il presidente della Bce, Mario Draghi, del 21 e 22 marzo, l’uno in coppia con il segretario al Tesoro americano Timothy Geithner in audizione al Congresso, l’altro dalle colonne del giornale tedesco Bild, c’è poco da stare allegri.
Andiamo con ordine e vediamo la cronologia dei fatti. Con una premessa: se fossimo ipocriti diremmo che il balzo in su dello spread in Italia è legato alle turbolenze intorno alla riforma del lavoro, alla non decisione del governo, alle minacce della Camusso, agli scioperi generali proclamati, alla scelta del Pd di stare dalla parte della conservazione. Ma non è così. Fin dall’inizio della bufera finanziaria abbiamo sostenuto, e non cambiamo idea oggi, che il gioco dello spread si fa su altri campi e che quello interno c’entra ben poco.
Invece, si è risvegliato il gigante americano, che ha distolto per un giorno – il 21 marzo – l’attenzione dalla politica monetaria interna, che continua a funzionare bene grazie al ricorso al quantitative easing (iniezioni da parte della Federal Reserve di liquidità sui mercati), e ha allargato ancora una volta il suo sguardo speculativo all’area euro. Eppure l’esposizione delle banche americane al debito sovrano dei Paesi Ue è limitata, né si intende aumentarla, parola di Timothy Geithner: «Non intendiamo comprare debito di Paesi in difficoltà».
Che cosa preoccupa, allora, la finanza americana? Sta tornando la bufera? Si sta preparando un nuovo attacco speculativo all’Europa? Se così fosse, questa volta potrebbe cominciare dalla Spagna. Non a caso, sempre il 21 marzo, sull’Europa, e sulla Spagna in particolare, si è pronunciato un altro big dei mercati americani: il capo economista di Citigroup, comunicando (irresponsabilmente o volutamente?) al mondo intero che quel Paese è quanto mai vicino al default. Motivazione: in accordo con l’Unione Europea, l’obiettivo deficit/Pil spagnolo per il 2012 è stato fissato al 5,3%, ma secondo le previsioni difficilmente la Spagna raggiungerà il 6,6%.
Un nuovo attacco speculativo quindi? Potrebbe essere, ma, come sempre, una ragione c’è. Superata l’impasse sulla Grecia, infatti, l’Europa continua a dimostrare la sua debolezza. Il Consiglio europeo del 9 dicembre aveva deliberato che entro marzo 2012 si sarebbe decisa la dotazione finanziaria del meccanismo permanente di stabilità (European stability mechanism – Esm – una sorta di nuovo Fondo Salva-Stati), ma se ne è parlato alla riunione del 2 marzo? No. Se ne parlerà al prossimo vertice europeo del 30 marzo? Speriamo! Sarà comunque troppo tardi e troppo poco. Ancora una volta. Come sempre. Titubanza e incertezza giuridica su testi che si sono susseguiti, a partire dall’atto costitutivo iniziale dell’Esm di marzo 2011 fino ad oggi, uno dopo l’altro, spesso con interpretazioni in contrasto fra loro, sull’onda emotiva dell’andamento (rectius: del continuo peggioramento) della crisi.
Anche la settimana scorsa la risposta più equilibrata alle provocazioni americane l’ha data Mario Draghi. Nella guerra delle dichiarazioni è stato il presidente della Bce a riportare ordine. Con toni rassicuranti ci ha spiegato che il peggio è alle spalle e che i fondamentali dei Paesi dell’area euro sono migliori di quelli degli Stati Uniti. Niente panico dunque.
In effetti, se studiamo i dati macro, in Europa abbiamo un rapporto debito pubblico/Pil (medio) dell’87% contro il 102% degli Stati Uniti. Ancora più ampio il divario, a nostro favore, se inseriamo nel calcolo anche l’indebitamento delle famiglie e delle imprese: il rapporto debito pubblico+privato/Pil (medio) in Europa si attesta al 230% contro il 350% degli Stati Uniti: 15 punti percentuali in più nel primo caso, 120 nel secondo.
Con che coraggio, allora, gli americani vengono a impartire lezioni alla vecchia Europa? La forza degli Stati Uniti deriva da una governance pragmatica, determinata, esigente, interventista; da una politica economica efficiente – orientata alla crescita – e da una politica monetaria espansiva. Deriva, anche, dalla capacità di scaricare i problemi interni in casa di altri. Per esempio in Europa.
Come? Forti, dinamici, indebitati, ma pieni di liquidità, gli americani hanno di fronte un sistema, quello del Vecchio Continente, che invece è debole, pieno di dubbi, ossessionato dall’inflazione, con una Banca centrale ingessata e politiche economiche recessive.
I risultati si vedono: per il 2012, negli Stati Uniti si prevede una crescita tra il 2,2% e il 2,7%; in Europa tra -0,5% e +0,3%. Fin troppo facile metterci sotto scacco! È così che, ciclicamente, l’onda speculativa targata Usa parte alla volta dell’Europa, individuando poi, a seconda della congiuntura, uno o più Paesi su cui concentrare l’attacco. Il Paese bersaglio è la Spagna, considerato, momentaneamente e in maniera strumentale, l’anello più debole della catena. Ma le ragioni addotte (il mancato raggiungimento degli obiettivi di bilancio) appaiono solo un pretesto…
Dobbiamo buttare a mare prima possibile le politiche economiche sbagliate fatte di sangue sudore e lacrime: adesso più che mai è tempo di crescita. Continente avvisato mezzo salvato.
Che morale trarre da tutto ciò? Semplificando un po’: 1) l’origine scatenante dei nostri guai è quasi sempre la finanza americana. Vorace, opportunistica, cinica, efficiente, determinata, spudorata nel suo moralismo; 2) l’Europa è bravissima a farsi del male. Indecisa a tutto, impotente, senza governance forte, specializzata in ricette sbagliate; 3) continuiamo ad essere incapaci di guardare in faccia la realtà e di anticipare le soluzioni, puntando su strategie semplici, comprensibili e di sicuro successo, cioè far somigliare la Bce sempre di più alla Fed e puntare a politiche economiche di crescita. E poi: più solidarietà, più tempismo, meno masochismo. Tutto il contrario di quello che è stato fatto fino ad oggi dal duo Merkel-Sarkozy. E se, professor Monti, invece che perdere tempo con la Camusso, usasse la sua competenza, il suo prestigio e il peso dell’Italia per cambiare gioco in Europa?

Fonte: Il Giornale del 26 marzo 2012

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