• sabato , 27 Luglio 2024

Sull’evasione gli alibi sono finiti:servono impegni

Società frammentate e impaurite, come sono diventate le nostre, hanno bisogno di obiettivi che le aggreghino e diano loro motivazioni. Per crescere devono inserire il loro vissuto dentro un racconto ed è proprio quello di cui oggi si sente la mancanza. Abbiamo coltivato l’ idea che bastasse favorire il tornaconto di ciascuno per farci progredire ma si è rivelato un abbaglio. La somma delle ambizioni individuali non ha generato un’ ambizione collettiva. Anzi. La manovra di finanza pubblica che il governo si appresta a varare non si presenta come una «finanziaria qualsiasi», affonda il bisturi nelle contraddizioni della spesa, dalle retribuzioni della dirigenza del pubblico impiego fino alle Spa nate caoticamente attorno alla Protezione Civile e alla Difesa, passando per un taglio di enti e società giudicati inutili. Persino i sindacalisti hanno capito che saremo chiamati a correggere storture che abbiamo alimentato o non adeguatamente combattuto. Si comincia con i 25 miliardi ma si continuerà con un processo che dovrebbe portarci gradualmente a riequilibrare entrate e uscite dello Stato (per la cronaca ogni anno il saldo si chiude a -80 miliardi). Lo dobbiamo fare privilegiando l’ efficacia sulla propaganda e definendo un percorso di responsabilità nazionale. È scontato che il governo sottolinei il carattere emergenziale delle scelte che ci troveremo ad adottare, la loro obbedienza a vincoli di carattere esterno, ma è un’ operazione che da sola non basta. Dobbiamo spiegare alla società italiana che cosa c’ è dietro la curva, la politica deve avere il coraggio di proporre obiettivi sul raggiungimento dei quali accetta di misurarsi. Il rischio che abbiamo davanti non è una fiammata di conflittualità anti-manovra ma la rassegnazione, proprio quando per riavviare la crescita abbiamo bisogno di partecipazione. È vero altresì che molte delle misure di contenimento della spesa messe in agenda le avremmo potute adottare da tempo. Non avremmo dovuto aspettare il giudizio dei mercati finanziari o la paura della speculazione per correggere l’ età di pensionamento, riordinare gli enti previdenziali, tagliare i compensi a ministri e sottosegretari, regolarizzare fiscalmente gli immobili fantasma. Ma è destino del nostro Paese che le scelte più difficili siano scandite dall’ orologio di Bruxelles. La manovra avrà l’ effetto di derubricare il taglio delle tasse, nonostante si tratti di un provvedimento gradito agli elettori che hanno votato i partiti del centrodestra e sia una misura ampiamente attesa dalle imprese. Di più: è assai probabile che a fine legislatura questo governo venga valutato proprio in ragione della riduzione della pressione fiscale. Per tutti questi motivi far passare in cavalleria l’ ipotesi di un fisco leggero non è plausibile. Il governo può uscire da questa contraddizione solo esplicitando un impegno solenne e annunciando un timing stringente. Lo stesso vale per l’ evasione fiscale. L’ Istat la stima in 247 miliardi di imponibile che tradotti in imposte equivalgono a 120 miliardi. È possibile rientrare negli standard europei dandosi un obiettivo di recupero del sommerso pari all’ incirca a un terzo e in tempi che non siano biblici? Infine il welfare dei capifamiglia. Se ai nostri giovani arriva il messaggio che «i soldi sono finiti perché li abbiamo usati tutti noi e per voi non ce n’ è», non facciamo, per dirla con eufemismo, una gran figura e saremo costretti a tenerli in casa fino al compimento dei 50 anni. Ma se il welfare statale non può più essere pagato a piè di lista, quali strade si possono battere per finanziarlo con canali alternativi e sussidiari? Una politica autorevole deve sicuramente dire la verità ai cittadini, deve tenere l’ Italia dentro il solco europeo ma deve anche avere il coraggio di indicare un orizzonte oltre la curva. Già una volta dopo aver ottemperato agli obblighi comunitari non fummo capaci di perseguire un indirizzo nazionale. Sarebbe paradossale che il centrodestra ripetesse gli errori dei suoi avversari.

Fonte: Corriere della Sera 22 maggio 2010

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