• sabato , 27 Luglio 2024

Profumo: “Cosi’ rilancero’ il Montepaschi”

La banca ha cinque secoli, Alessandro Profumo ne è il presidente da cinque mesi. I cinque mesi nei quali il Monte, nel momento più difficile della sua storia secolare, ha deciso di cambiare il suo modo di essere. A cominciare dall’ azionariato. La Fondazione che dal 1996 era rimasta aggrappata dal suo 51 per cento ora ha il 36 e scenderà prossimamente al 33 per scendere ancora in futuro. «Avere il 100 per cento del proprio patrimonio investito in un solo asset mette a rischio, come abbiamo visto, gli interessi della comunità. E’ un rischio che la Fondazione ha deciso, con il tempo, di attenuare». Il che vuol dire aprire la porta ad altri azionisti. Quali? «L’ attore fondamentale in questa scelta sarà la Fondazione. Per quanto mi riguarda l’ azionista ottimale è un soggetto che condivide l’ idea di una grande banca italiana, focalizzata su famiglie e piccole e medie imprese e con il suo quartier generale a Siena». Ovvero non un azionista industriale che ne prenda il controllo. «Esatto». segue alle pagine 2 e 3 segue dalla prima C’ è consenso intorno al progetto di risanamento della banca che state portando avanti, che comporta un diverso rapporto con la città? «La legittimazione sociale è fondamentale per ogni impresa. Nessuna può andare avanti se ha clienti insoddisfatti, dipendenti che non hanno appartenenza e una comunità che spinge per una regolazione avversa. Ma legittimazione sociale non vuol dire avere una rapporto patologico, di sostituzione. Sono state le istituzioni locali e la Fondazione a decidere di cambiare e, coscienti del rischio che si prendevano, hanno scelto di dare valore al territorio attraverso una banca che fa bene la banca. La senesità è avere una banca che performa». Performerà? «Il nostro vantaggio è che la situazione di difficoltà in cui ci troviamo ci costringe ad essere i primi a muoverci in un sistema che ha una struttura dei costi non sostenibile. E Viola è stato bravo a costruire in tempi brevi una squadra di prima qualità. La risposta alla sua domanda è sì, performerà». La città ha capito la portata del cambiamento? «Credo di sì. Lo ha capito perché aveva un flusso di cassa che ora non c’ è più. E ha capito che il senso del lavoro che stiamo facendo è recuperare la piena autonomia della banca dal pubblico». Affrontate questa sfida in un contesto difficilissimo, a partire dai problemi dell’ euro. «Il quadro però nelle ultime settimane è decisamente migliorato e questo è importantissimo perché una parte della crisi attuale è dovuta alla instabilità dei mercati finanziari. Le giuste scelte che sono state fatte ci danno tempo, non troppo, che dobbiamo utilizzare per continuare rapidamente il processo di integrazione europea. La banking union è il primo passo, al quale dovranno seguire l’ unione fiscale e produttiva». Perché la banking union è un passaggio così importante? «Perché è fondamentale avere un unico libro delle regole e un unico supervisore che garantisca che le regole vengono applicate in maniera omogenea in tutti i paesi. Oggi non è così e quando lo sarà per l’ Italia sarà un grande vantaggio». Qual è oggi il principale fattore di fragilità del sistema bancario italiano? «Uno dei principali è che abbiamo un eccesso di impieghi rispetto alla raccolta. In passato la differenza era colmata da investitori istituzionali, ora non più e quella differenza è stata coperta dalla Bce con i due Ltro. E’ una situazione non sostenibile nel lungo periodo per cui è urgente ripristinare un mercato europeo della liquidità, che a sua volta richiede una prima cessione di sovranità». Ovvero la banking union. Le dice “prima cessione di sovranità”, quali sarebbero le altre? «I passi immediatamente successivi sono la creazione di un fondo di garanzia europeo e di un sistema europeo per la gestione della crisi. Sono convinto che siamo a un bivio, o andiamo avanti nel processo di integrazione europea oppure andiamo indietro e se sceglieremo di andare indietro dobbiamo sapere che ci sarà un impatto sociale drammatico perché si metteranno in moto svalutazioni e inflazione, impoverendo le fasce medie e deboli». Come si fa ad evitare la scelta di tornare indietro? «Alcuni paesi temono che altri possano scaricare sulle loro spalle il debito che hanno cumulato, gli altri, tra i quali noi, devono dare garanzie credibili che non sarà così». Noi queste garanzie le abbiamo date? «Le stiamo dando ed è aumentata la consapevolezza». Per una banca nazionale come il Monte dei Paschi quanto conta la banking union? «È fondamentale perché se si ricrea un mercato internazionale della liquidità bancaria è più facile gestire gli asset. Vale per il paese e direi per l’ intera Unione. L’ Europa continentale è “bancocentrica” mentre i paesi anglosassoni sono “mercatocentrici” e nella percezione generale essere “bancocentrici” ha un valore negativo. Innanzitutto bisogna stare attenti perché avere al centro la banca dà maggiore flessibilità: se non paghi un bond a scadenza fallisci, se non paghi un finanziamento bancario rinegozi. E tuttavia riequilibrare il sistema dando maggiore peso al mercato è importante ma può essere anche molto doloroso se non ci sono meccanismi efficienti di finanziamento della liquidità bancaria, perché quello che si determina è una drastica riduzione degli impieghi. In concreto: se tutti devono rimborsare gli Ltro e nel frattempo non riparte il mercato delle cartolarizzazioni, delle obbligazioni bancarie e della liquidità in generale, quello che rischia di accadere è un deleveraging selvaggio». Voi come vi state preparando? «Noi abbiamo previsto di rimborsare integralmente la Bce nel periodo del piano portando il rapporto tra impieghi e raccolta dal 130 al 108 per cento». Cessioni di sovranità, diceva, o meglio “condivisioni di sovranità”, da fare rapidamente, operazione non facile in un momento in cui l’ Europa viene percepita come una severa matrigna. «È che non siamo più capaci di avere un racconto positivo dell’ Europa, di vedere i suoi punti di forza, il capitale umano, la molteplicità dei poli di competenza che è un elemento di ricchezza unico. Non riusciamo più a vedere le tante cose positive». Veniamo all’ Italia. Siamo alla fine del tunnel? «Non ancora. La domanda interna è debole così come gli investimenti. L’ export va bene ma se non si rimettono in moto domanda interna e investimenti il sistema non regge». Non c’ è un effetto positivo da riduzione degli spread? «Si è affievolito l’ effetto paralizzante dovuto al timore che l’ euro esplodesse, ma in condizioni come queste la gente non consuma e non investe non perché i tassi sono alti ma perché ha troppe incertezze sul futuro, personale e generale». Aumentare la produttività può rimettere in moto la macchina? «Certamente, ma è una operazione non facile. E’ un insieme di diversi componenti che alla fine incide sul costo del prodotto. Vorrei vedere dati più analitici, ma la mia impressione è che abbiamo più un problema di investimenti e innovazione che di costo del lavoro. Scaricare solo o prevalentemente sul lavoro non risolve il problema e riduce un reddito disponibile già basso. Bisogna lavorare sulla qualità della gestione, sulla flessibilità, sul quadro normativo, sulla esigibilità contrattuale, che è un elemento fondamentale». Il recupero di efficienza dell’ economia reale è importantissimo, ma l’ impressione è che potrebbe non bastare di fronte ad una finanza così pervasiva, famelica e incontrollabile che rischia di mangiarsi l’ economia reale stessa e che ormai da anni è uno dei fattori dell’ instabilità di tutto il sistema. «Il modo di affrontare il problema è costruire una seria supervisione globale. In proposito c’ è un dibattito molto importante sul modello di supervisione, se il sistema di regole debba essere basato sui principi o prescrittivo. Quello prescrittivo non riuscirà mai a coprire tutti i possibili c o m p o r t a m e n t i e quindi sarebbe meglio un sistema basato sui principi. Ma questo richiederebbe una supervisione autorevole e al di sopra di ogni sospetto di influenza politica, nonché un sistema giudiziario capace di lavorare sui principi. E’ una sfida enorme». Cosa pensa della Tobin Tax? «Mi lascia indifferente perché non risolve i problemi e il peso sarebbe trasferito sugli investitori. Può avere un senso, più che risolvere i problemi creati della finanza, se l’ obiettivo è finanziare con i suoi proventi qualcosa di importante e condiviso. A condizione naturalmente che sia universale, perché altrimenti il suo effetto sarebbe solo quello di rendere meno competitivi sui mercati dei capitali gli intermediari e gli emittenti dei paesi che la adottano».

Fonte: Affari e Finanza del 24 settembre 2012

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