• mercoledì , 15 Maggio 2024

Molta competenza, ma poca etica

La prima cosa che deve sapere chi decide di investire i suoi soldi comprando azioni è che rischia. Sarà bene quindi che si informi, che si guardi intorno. Ma dove deve guardare? In genere, uno cerca di informarsi presso chi ne sa di più, e di azioni dovrebbero saperne di più quelli che le studiano dalla mattina alla sera, gli analisti finanziari, che guardano tutti i numeri, incontrano i manager delle società, si fanno spiegare i programmi. Essendo del mestiere ovviamente non ci cadono, verificano la credibilità di quei programmi e confrontano i numeri di ciascuna società con quelli delle altre imprese del settore. Gli analisti finanziari non fanno questo lavoro per il piccolo risparmiatore, lo fanno per le banche o per le sim per le quali lavorano, che spesso gestiscono molti denari affidati loro per investirli al meglio. Alla fine, avendo studiato tutto per filo e per segno, danno un prezzo di riferimento per quel titolo e una indicazione: vendere, oppure comprare, oppure tenere le posizioni. L’investitore che vuole comprare titoli ovviamente può guardare anche altro. Se intende investire in una società che è nel listino da tempo, può vedere come si è comportata in passato, se sono credibili i suoi manager, che caratteristiche ha il gruppo di controllo. Se è quotata da poco può vedere chi l’ha accompagnata al listino, come sponsor, come advisor, come global coordinator dell’offerta pubblica di vendita. La merchant bank che porta in Borsa una società in qualche modo mette il suo buon nome, e il coinvolgimento di una o più merchan bank di bella tradizione in linea di massima è un elemento da considerare. Fino a dieci anni fa gli uffici di ogni banchiere che avesse una buona reputazione erano tappezzati di ‘tombstone’, gli annunci di operazioni sindacate, emissioni, prestiti, collocamenti, e ci si teneva a stare in buona compagnia. La collezione dei tombstone di livello era una specie di pedigree, una misura della propria credibilità nel mondo dell’alta finanza. In Italia, per i prestiti, c’era l’abitudine di guardare quello che faceva la Comit, che aveva un tradizione molto solida di rigore nei fidi: se c’era la Comit le banche di provincia, e non solo quelle, si accodavano. La credibilità, nel mondo della finanza è tutto. E la credibilità che conta ormai, essendo il ruolo dei merchant banker soprattutto quello di intermediari e di grandi consulenti, è soprattutto quella professionale. Le cui componenti sono due: competenza ed etica. Fermo restando che i titoli salgono e scendono per mille motivi e nessun banchiere o analista può essere messo in croce perché non ha visto giusto; fermo restando che anche il banchiere più abile può essere ingannato dal suo cliente, resta tuttavia una sensazione di disagio. Che deriva dall’impressione che in questi anni esplosivi per la finanza le banche d’affari abbiano fatto dell’ammontare delle commissioni una discriminante del loro rigore professionale, e che le indicazioni degli analisti siano legate più che altro alla quantità e al prezzo di carico dei titoli che ci sono nei portafogli delle loro società.

Fonte: tratto da "Affari & Finanza" del 16 ottobre 2000

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