• giovedì , 16 Maggio 2024

L’ombra dei francesi sulla battaglia” delle Generali ma Consob, Banca d’Italia e Governo stanno a guardare

di Bruno Costi

Se Paolo Savona, presidente della Consob ha ragione nel dire che la battaglia attorno alle Generali è la metafora dello scontro in corso nella finanza italiana tra innovazione e conservazione, la stentata pronuncia dell’authority di Borsa, quando mancano appena due mesi all’assemblea del colosso assicurativo europeo, indica che l’innovazione certo non ha vinto. Ha allora vinto la conservazione?

Occorre prestare molta attenzione prima di tentare una risposta al quesito, perché si rischia di far apparire come conservatori, gli Agnelli, i DeAgostini, i Benetton spalleggiati dal manager Alberto Nagel, ovvero la galassia intorno a Mediobanca – Generali che una facile pubblicistica ha sempre definito come “finanza laica”, e dipingere come innovatori e portatori di aria fresca nel capitalismo italiano, Leonardo Del Vecchio e Francesco Gaetano Caltagirone, ovvero due vecchie conoscenze dell’imprenditoria italiana ed oggi considerati la nuova vincente generazione dell’imprenditoria italiana.

Invece la risposta è probabilmente un’altra e questo articolo cerca di spiegare qual è.

L’oggetto del desiderio

Per chiarire i termini della questione va ricordato innanzitutto che la posta in gioco è il controllo delle Generali, oggetto inarrivabile di desiderio e terreno di scontro tra capitalisti da oltre 40 anni; da quando cioè il vecchio e acuto senatore democristiano Cesare Merzagora, presidente di Generali, studiò un progetto di privatizzazione di Mediobanca (banca Iri mezza pubblica mezza privata) per mettere in cassaforte il controllo della più importante compagnia assicuratrice italiana e crocevia di delicati equilibri nella finanza italiana, povera di capitali e di capitalisti (allora come oggi).

Il suo disegno non andò del tutto in porto perché un signore di nome Romano Prodi, allora presidente dell’Iri, trovò per conto della politica un temporaneo compromesso, poi spazzato via dal corso della storia. Allora, però, Mediobanca era controllata dalle tre banche di interesse nazionale di proprietà dell’Iri (Comit, Credit e Banca di Roma) e solo il ruolo di cerniera dell’allora Presidente Enrico Cuccia riusciva a garantire “a modo suo” neutralità ed equilibrio tra poteri pubblici e privati.

Oggi tutto è cambiato: le tre banche Iri non esistono più e ciò che ne resta è privato; al posto di Enrico Cuccia c’è Alberto Nagel un uomo che, anziché a Milano in via Filodrammatici,  pare viva stabilmente a Londra e che di Cuccia ha ereditato solo il comportarsi “ a modo suo”, certamente non l’equidistanza né l’equilibrio. Nel frattempo Generali fattura quasi la metà di quanto incasseremmo dal Recovery Plan  anche se in Borsa vale un terzo, ed è sempre più corteggiata dai francesi di Axa, colosso assicurativo suo diretto concorrente ed al vertice, non si sa bene perché, ha piazzato un amministratore delegato francese, proveniente proprio da quel colosso Axa che vorrebbe acquisirla, e che trova nei suoi azionisti italiani di controllo, molti fans per avventure transalpine.

Che c’è di male si potrebbe dire. La forza del mercato sta proprio nel consentire che chi ha denaro comandi.

Ebbene, se tutto è cambiato dalla fine degli anni Settanta ad oggi, due cose sono rimaste immutate : 1) oggi come allora chi controlla Generali, controlla non solo il ricco risparmio assicurativo nazionale, ma anche buona parte del capitalismo italiano per il gioco delle partecipazioni azionarie su cui influisce direttamente ed indirettamente; 2) oggi come allora, alcuni grandi capitalisti italiani continuano a credere che si può comandare senza mettere sul tavolo tutto il denaro richiesto dal mercato e seguono prassi che perfino la Consob definisce a rischio di autoreferenzialità, opacità, conflitto di interessi.

Lo scontro tra innovazione o conservazione

E veniamo all’oggetto del contendere che Savona ha definito “scontro tra innovazione e conservazione”.

Gli attuali azionisti di controllo delle Generali, ovvero Mediobanca ed i suoi alleati, si trovano a fronteggiare l’offensiva di un agguerrito gruppo di azionisti di minoranza, Del Vecchio e Caltagirone, portata sia sul versante di Mediobanca (Del Vecchio ne possiede il 19,4% e Caltagirone il 3,1% ) che sul versante Generali (Mediobanca ne possiede il 12,8% Caltagirone l’8% del Vecchio il 6%, il loro alleato Fondazione CRT poco meno del 4% e Benetton poco meno del 4%). Parliamo di partecipazioni ufficiali.

La prima critica di Del Vecchio e Caltagirone rivolta agli amministratori di Generali ed a Mediobanca che li puntella è sulla gestione: la compagnia – sostengono – ha perso la leadership europea, fa pochi utili e non ha un piano di sviluppo convincente. In effetti i conti del colosso di Trieste non brillano, soprattutto se confrontati con i suoi competitor. Gli utili prima delle imposte, per esempio, erano il 3,9% dei ricavi nel 2019 sono rimasti quasi invariati nel 2020 (4%) e in un anno boom per tutte le compagnie europee, sono saliti nella prima frazione del 2021 al 5,1%. Quelli di Axa, invece, in due anni sono raddoppiati, dal 4,2% del 2019 all’8,4% del 2021 e bene ha fatto anche Allianz, dal 10,7% del 2019 al 13,3% del 2021. Allianz e Axa, dunque, corrono e accelerano; Generali cammina e con il “freno a mano tirato”.

% utili su ricavi
  2021* 2020 2019
ALLIANZ 13,3 8,5 10,7
AXA 8,4 4,3 4,2
MUNICH RE 8,5 0,9 0,2
GENERALI 5,1 4,0% 3,9
*Fonte: Investing.com –  30 giugno, risultati fine periodo

La seconda critica riguarda la selezione dei manager responsabili della deludente gestione (l’amministratore delegato è il francese Philippe Donnet, proveniente da Axa). Ciò che dicono è che il rendimento del loro investimento è modesto, poco più dell’1% per azione; ciò che non dicono è il timore di decisioni che riguardano parti correlate, ovvero in conflitto di interessi, e che i risultati modesti deprezzino la compagnia rendendola più abbordabile per chi volesse acquisirla o fonderla .

Se per esempio l’ex manager di Axa Donnet proponesse al consiglio una fusione tra Generali ed Axa per realizzare un’operazione ispirata al modello applicato all’auto tra Fiat-Peugeot per dar vita a Stellantis, chi sarebbe in grado di assicurare che l’operazione verrebbe progettata e si svolgerebbe con il massimo della valorizzazione per gli azionisti se la scarsa redditività deprezza il titolo?

La critica riguarda poi anche il modo scelto dagli azionisti (principalmente Mediobanca) per selezionare i nomi da inserire nella lista del prossimo consiglio d’amministrazione, al quale spetterebbero decisioni cruciali (la nomina dell’amministratore delegato e operazioni straordinarie come per esempio quella con Axa). Sostengono Del Vecchio e Caltagirone che il consiglio uscente adotta metodi opachi e autoreferenziali attraverso i quali chi comanda perpetua se stesso. E per questa ragione si dimettono dal consiglio Generali, protestano con la Consob e annunciano battaglia all’assemblea di aprile.

Mediobanca si scopre in minoranza

E qui nasce un secondo problema: nel momento della verifica delle forze in campo in vista dello scontro alla prossima assemblea di Generali, gli azionisti di Mediobanca legati fra loro e guidati da Nagel scoprono che, con il loro 13% del capitale e dei diritti di voto, sono in minoranza rispetto a Del Vecchio e Caltagirone che insieme sfiorano il 15%. Un bel grattacapo per Nagel che, dunque, pochi mesi fa  ricorre ad uno stratagemma  utilizzato spesso ai piani alti della finanza: prende in prestito il 4,42% di azioni Generali da BNL Paribas, con il quale supera i diritti di voto degli avversari. Una vera e propria controffensiva azionaria diretta a rintuzzare i due imprenditori avversari.

Ma quel 4,42% di azioni Generali portate da BNP di chi è? Ufficialmente è un segreto che BNP Paribas non è tenuta a rivelare. Ma sul mercato si sussurra che la banca francese lavora in rappresentanza della francese Axa, il principale concorrente di Generali. E nessuna smentita è arrivata per sostenere che non è vero.

Può dunque la compagnia italiana difendere se stessa ricorrendo all’aiuto anche del suo principale concorrente? E perché mai il principale concorrente dovrebbe aiutarla se non per difendere uno status quo che evidentemente gli conviene? Ed ancora: può un azionista in minoranza – Mediobanca – agire da padrone attraverso titoli azionari che ha preso solo in locazione, senza dire chi gliele ha locate e solo per il tempo necessario per non soccombere in assemblea? E i 10 milioni di euro spesi per pagare la locazione dei titoli, rientra nella missione di una compagna di assicurazioni? Sul tavolo della Consob arriva anche questa “grana” e pure in quel caso lo scontro, dice Savona, è tra conservazione ed innovazione.

La Consob ed il grido d’allarme “sottovoce”

Le risposta della Consob tarda per settimane fino a quando a svelare il “dietro le quinte” interviene niente meno che il presidente della Consob il quale, per allontanare da sé la responsabilità delle incertezze, rivela che non è lui a tenere in ostaggio la Consob ma il contrario; è la vecchia Consob a tenere in ostaggio lui per effetto di interessi che lui stesso definisce “ della conservazione”.

Come d’incanto, basta questa irrituale dichiarazione pubblica del presidente della Consob per sbloccare il pronunciamento del regolatore. Ma – e qui la trama diventa davvero intrigante – la Consob dà indicazioni solo per una delle due obiezioni: il potere della maggioranza azionaria di presentare una lista di consiglieri senza discuterne con nessuno. Sulla seconda obiezione, affittare pacchetti azionari per il solo tempo necessario a votare contro gli avversari, silenzio assoluto.

Meglio poco che nulla, si potrebbe dire e soprattutto meglio tardi che mai. Il fatto è che “il richiamo di attenzione” della Consob anziché dirimere, chiarire e regolare, da un lato “illumina”, dall’altro elude e conferma.

Cosa elude? Intanto elude la decisione sul da farsi: infatti si premura di precisare che la sua pronuncia non è un atto di regolamentazione del mercato al quale Generali deve adeguarsi; poi elude qualsiasi prescrizione sottolineando che la pronuncia non contiene nessun richiesta di informazione obbligatoria.  In pratica, si tratta solo di un richiamo, appena sussurrato, sulla presenza di alcuni rischi e pericoli ma, per carità, niente che debba disturbare il manovratore e, se disturba, si può anche fare a meno di ascoltarlo.

Cosa conferma? Che nel vuoto legislativo in materia, la facoltà che gli Statuti delle società private attribuiscono ai consigli di amministrazione uscenti di presentare una lista anche per i subentranti presenta almeno 4  rischi:

  1. autoreferenzialità, autoperpetuazione… e scarsa trasparenza con possibile alterazione dei meccanismo di corretta competizione tra le liste e aspetti critici;
  2. non corretta individuazione delle persone che agiscono di concerto;
  3. possibile opacità nel processo di individuazione dei candidati da includere nella lista del consiglio
  4. rischio di non corretta individuazione delle parti correlate.

In sostanza, ed al di là del linguaggio finanzial-giuridichese, la Consob dice che, si, in effetti Del Vecchio e Caltagirone possono avere ragione: in Generali chi comanda sta adottando un metodo che può perpetuare il suo potere di comando, in modo opaco, danneggiando gli avversari; e che tutto ciò può nascondere patti occulti fra azionisti e favorire conflitti di interesse. Il ché per una società quotata in Borsa con decine di migliaia di piccoli azionisti e con i suoi titoli nel portafoglio, come fossero lingotti d’oro, di chissà quanti fondi d’investimento e banche equivale ad uno stigma.

Chiunque rabbrividirebbe di fronte ad un’Istituzione che denuncia una situazione incresciosa ma poi non fa nulla per porvi rimedio.

Ma poiché ogni situazione, anche la più scabrosa, nasconde sempre sempre un lato positivo per chi aguzza la vista, la pronuncia della Consob ha almeno il pregio “illuminare” il campo di gioco e di suonare un allarme. Finora non era stato fatto nemmeno questo.

Chi ha vinto dunque: l’innovazione o la conservazione?

Per il momento nessuno, perché la pronuncia della Consob è solo il primo tempo di una partita che per Generali si chiuderà ad aprile all’assemblea degli azionisti, ma per il Paese ed i suoi equilibri si preannuncia lunga ed estende il capo di gioco fino alle istituzioni politiche italiane ed europee.

Generali, infatti, oltre ad essere il crocevia di un certo capitalismo privato italiano è anche un player globale nel grande mercato del risparmio banca-assicurativo europeo. Con i suoi 83 miliardi di ricavi nel 2020 e quasi 100 mila nel 2021, 29,5 miliardi di capitalizzazione è la quinta compagnia europea ed è considerata la prima per potenziale di crescita, data la bassa quota di risparmio assicurativo degli italiani rispetto alla media Ue. Se è vero che vale un terzo della tedesca Allianz che è la prima, Axa, ovvero il colosso francese che vorrebbe acquisirla, insieme a Generali diventerebbe la prima compagnia europea superando i tedeschi.

Le prime 10 compagnie di assicurazione in Europa
  Nome Paese Capitalizzazione mld € %
1 Allianz Germania 98 27,17%
2 AXA Francia 61,5 17,05%
3 Groupama Assurances Mutuelles Francia 48,7 13,50%
4 Munich Re Germania 41,2 11,42%
5 Assicurazioni Generali Italia 29,5 8,18%
6 Hannover Re Germania 23,1 6,40%
7 Sampo Oyj Finlandia 22,9 6,35%
8 Talanx AG Germania 12,2 3,38%
9 NN Group NV Olanda 12,1 3,35%
10 CNP Assurances Francia 11,5 3,19%
Totale 360,7 100,00%

Fonte: Investing.com

Gli interessi dell’Italia  e  la fallita riforma dei controlli sulla finanza

E’ nell’interesse del Paese mantenere un quadro normativo e regolatorio che viene denunciato opaco, scorretto e di conseguenza anche favorevole alla realizzazione delle avances francesi di Axa? Ed è nell’interesse del Paese offrire di conseguenza su un vassoio d’argento il ricco mercato italiano del risparmio assicurativo?

In passato rischi di questo tipo si sono già presentati quando in pericolo era il frammentato sistema delle banche italiane, ma la Banca d’Italia fu molto attiva per consolidare il sistema proprio per evitare che il risparmio, e di conseguenza il credito alle imprese italiane, diventasse preda di grandi banche estere e delle loro logiche di politica industriale e creditizia.

Perché la stessa cosa non dovrebbe accadere anche oggi per il sistema assicurativo e per Generali? Dov’è la moral suasion che la Banca d’Italia ha sempre saputo esercitare per tutelare il risparmio degli italiani? Evidentemente non c’è, perché se ci fosse e avesse effetto, non assisteremmo al braccio di ferro tra gli attuali azionisti ed alla latitanza delle istituzioni.

Oppure – ed è forse l’ipotesi più verosimile – non può essere esercitata come un tempo  a causa di una sciagurata riforma della Vigilanza sui mercati finanziari che quindici anni fa spezzettò le competenze di controllo sulla finanza, allora concentrate nella Banca d’Italia, distribuendole  fra le varie authority (Consob e Antitrust) in modo così schizofrenico che oggi su vicende come quella delle Generali non si sa bene  a chi spetta decidere.

Sicchè i politici di allora, che sembravano fomentati dalla furia populista di abbattere i “santuari”  della finanza ed i poteri forti che li abitavano, con quella riforma favorirono allora, e favoriscono oggi, proprio quei santuari  e quei poteri forti che dicevano di voler abbattere in nome della democrazia economica e della trasparenza finanziaria. Cioè quei valori che oggi la Consob dice che non ci sono. Ed  allora è del tutto legittimo legittimo chiedersi se i politici di allora furono  gli strateghi di tanta avventatezza o  semplici esecutori di strategie decise da chi avevano interesse a neutralizzare controlli penetranti sui mercati finanziari.

L’ombra di una fusione modello Stellantis per Generali-Axa

Ma non è tutto: sullo sfondo delle vicende che strattonano la Compagnia triestina c’è una nebbia che sarebbe utile diradare. La fusione fra Peugeot e Fiat auto ha dato vita a Stellantis, con accordi e scambi azionari e di denaro che hanno consentito ad entrambe le parti di sostenere di non essere stati comprati dal concorrente, ma di fatto assai simile ad una sostanziale cessione del settore auto ai francesi della Peugeot. Tutto ciò sotto lo sguardo vigile dello Stato francese che era azionista di Peugeot ed ora lo è anche dell’ex Fiat.

Se qualcosa di analogo accadesse in una possibile fusione fra Generali e Axa, la posta in gioco sarebbe assai diversa dalla leadership nell’automotive, perché Generali ha un attivo patrimoniale di 544 miliardi di euro, quasi un terzo del Pil italiano ed ha in pancia quantità colossale di debito pubblico italiano; lo rinnoverebbe se a guidare le danze fosse un Philippe Donnet espressione di Axa -Generali? Ed è interesse dell’Italia lasciare ad un altro Paese la discrezionalità di decidere le sorti di una fetta così rilevante del nostro debito sovrano? Abbiamo già fatto l’errore di consegnare a Vladimir Putin la discrezionalità di decidere  se, e a che prezzo, vendere gas alle nostre imprese; si vuole ripetere l’azzardo anche sul risparmio assicurativo?

E’ per questa ragione che il campo di gioco si allunga fino a lambire i tavoli dei rapporti Italia-Francia e delle istituzioni politiche italiane ed europee. Nonostante, dopo il Trattato del Quirinale tra Parigi e Roma, sia ”scoppiata” una grande e improvvisa amicizia, dopo le tensioni su Telecom-Vivendi e Fincantieri-Stx per i cantieri di Naval Group, forse è meglio che nessuno distragga lo sguardo.

Quanto al confronto tra conservazione ed innovazione in Generali va detto che individuare, come ha fatto la Consob, vuoti di legge e di regolamenti del mercato che possono alimentare danni ai risparmiatori ed al Paese e non far nulla per correggerli è come suonare la sirena perché la nave affonda anziché turare la falla. E’ qualcosa che va apprezzato certo, ma non è abbastanza.

Occorre avere fiducia nella capacità del mercato di autoregolarsi? Se qualcuno lo domandasse al Savona economista, risponderebbe, citando Keynes, che il mercato lasciato a se stesso il suo punto di equilibrio lo trova sempre, ma con il sottoutilizzo di fattori produttivi, cioè con una soluzione subottimale.

Forse perché è un monetarista, Savona confida nella trasparenza informativa. Ma lasciare che il mercato si autoregoli non sempre porta al risultato migliore, perché alla fine, gli azionisti oggi in contrasto domani possono sempre trovare un accordo. Ma stiamone certi risponderà solo ai loro interessi prima che agli interessi generali.

(www.clubeconomia.it del 22 gennaio 2022)

 

 

 

 

 

 

 

 

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