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Lo scandalo di Herman Cain sta favorendo il ritorno in vetta di Romney

Lo scandalo politico è scoppiato anche negli Stati Uniti. Poco più di una settimana fa Politico, il quotidiano on-line specializzato in politica americana, ha rivelato che Herman Cain, tra i frontrunner repubblicani favoriti alle prossime presidenziali, fu accusato di molestie sessuali da tre donne quando, negli anni Novanta, era a capo della lobby della ristorazione americana, il National Restaurant Association.
I media si sono scatenati e da una settimana continuano ininterrottamente a riproporre la storia di Cain, con un articolo nuovo al giorno che ormai appare su tutte le maggiori testate del paese, per soddisfare l’insaziabilità di gossip dei lettori. Le caratteristiche per essere una storia formidabili le ha tutte: lo scandalo sessuale in primo luogo e in secondo, non si può ignorare, il fatto che Cain sia nero. La tempesta perfetta per il cosi detto media frenzy (isteria dei media).
Anche in America dunque le accuse di molestie sessuali ai politici non sono nuove: una lunga lista di personaggi pubblici hanno dovuto difendersi dagli attacchi di giornali e televisioni. Il caso più famoso è forse quello di Paula Jones, ex dipendente dello stato dell’Arkansas durante il governatorato di Bill Clinton, che accusò l’ex presidente americano di averla molestata.
Il caso non raggiunse mai la corte e fu messo a tacere con un accordo preventivo tra le parti e il pagamento di 850 mila dollari da parte di Clinton alla Jones. Cain ha fatto lo stesso. Secondo Politico e il New York Times avrebbe pagato la prima donna 45 mila dollari, mentre la seconda sarebbe stata pagata 35 mila; per quanto riguarda la terza, invece, i dettagli non sono ancora stati rivelati.
Ma Cain, è innegabile, si è dimostrato incapace a gestire la situazione. E’ passato in pochissimo tempo da una posizione aggressiva di assoluto silenzio stampa all’ammettere, senza remore, di aver pagato una somma alla donna senza però aver ancora ammesso di aver pagato la seconda. Non la tecnica migliore per mettere a tacere accuse strumentali.
Ormai però poco importa, il garantismo dovuto è stato fagocitato dal desiderio gossip tanto che su una rivista liberal come the Atlantic, la giornalista, autodefinitosi femminista ‘dura-a-morire’, Elisabeth Wurtzel, ha chiesto a esperti e giornalisti di smetterla con questo finto dibattito che non ha niente a vedere con la difesa dei diritti delle donne.
Il danno politico a Cain è però già fatto: mercoledì scorso Richard Land, il presidente dell’ Ethics and Religious Liberty Commission of the Southern Baptist Convention, potente organo del movimento evangelico americano, ha invitato il frontrunner repubblicano, con parole che lasciano poco spazio a interpretazioni, a fare subito chiarezza. L’irritazione di uno del più potente portavoce del movimento evangelico ha un significato ben più grande dello scontento verso il comportamento morale di Cain.
Il candidato Repubblicano è infatti anche lui un ministro della Chiesa battista, ed era l’unico candidato Repubblicano in grado di realmente soddisfare gli evangelici, i voti dei quali sono stati fondamentali per la vittoria dell’ex presidente George Bush Jr, sia nelle elezioni del 2000 che in quelle del 2004. Oggi molti evangelici si sentono alienati ha continuato a spiegare Land.
Mitt Romney, il candidato Repubblicano più gettonato, rimane un Mormone, mentre la retorica estrema di Perry sull’immigrazione e i cambiamenti climatici ha fatto allontanare molti evangelici, soprattutto i più giovani. La nuova generazione degli evangelici, spiega Land, percepisci i problemi climatici e l’assistenza ai poveri come questioni più importanti rispetto all’aborto.
Sono cambiamenti strutturali importanti all’interno di una forza politica che dalla metà degli anni Novanta ha goduto di un influenza politica senza precedenti – Jeff Sharlet, pluridecorato giornalista americano specializzato sui rapporto tra religione e stato, nel 2005 fece uno scoop provando che il leader evangelico Tedd Heggard si incontrava con Bush tutti i lunedì, concessione di cui nessun altro leader religioso ha mai potuto usufruire.
Dunque per i nuovi evangelici lo stato non è più percepito come un’entità antagonista (in perfetta ideologia conservatrice americana), ma al contrario come una possibile fonte di soluzione ad alcuni problemi. Certo, ciò non significa che i repubblicani voteranno in massa i democratici, anzi per nulla, continua Land.
Obama, secondo l’establishment degli evangelisti, ha fatto un grande errore nel mettere questioni come l’aborto e il matrimonio gay (anche se la linea ufficiale del presidente è che il suo pensiero “è in evoluzione”) sulla facciata del proprio messaggio politico, condizione che rende il candidato ancora inviso alla maggior parte degli evangelici.
Land conclude che se i suoi voteranno ancora repubblicano lo faranno tappandosi il naso, ma il rischio astensione è alto e potrebbe avere un’influenza sul risultato di un’elezione così ravvicinata dove anche l’ultimo voto può far pendere il risultato da una parte come dall’altra.

Fonte: Occidentale del 7 novembre 2011

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