• sabato , 27 Luglio 2024

Le cose che Squinzi non ha detto

Molte delle affermazioni contenute nella relazione d’esordio di Giorgio Squinzi sono largamente condivisibili. Il neo-presidente della Confindustria è un imprenditore dotato di un solido alfabeto delle priorità e bene ha fatto a sciorinarlo davanti a quello che per quattro anni sarà il suo pubblico. E’ giustissimo che dagli imprenditori arrivi un richiamo forte a riprendere il cammino della riforma della pubblica amministrazione troppe volte annunciata e troppe volte interrotta. E’ corretto che gli industriali privati incalzino il governo sulla riduzione della spesa pubblica. Abbiamo infatti immesso nel nostro lessico l’espressione “spending review” ma corriamo il rischio di trasformarla in un interminabile esercizio di stile, mentre c’è bisogno di agire con buona andatura e mano sicura. Venti punti di differenza tra il nostro total tax rate e quello tedesco (68,5 contro 46,7%) sono insopportabili e il gap di competitività che ne deriva non è recuperabile. Squinzi lo ha sottolineato e anche in questo caso la scelta è sicuramente condivisibile. Così come altrettanto azzeccata è stata la sottolineatura del ruolo strategico dell’innovazione e della ricerca nel nuovo posizionamento che la nostra industria deve ricercare.
Squinzi, quindi, non può certo essere criticato per le cose che ha detto, se c’è un rilievo da muovergli sta caso mai nelle cose che non ha detto. Il neo-presidente è cosciente – e lo ha scritto – che il prossimo quadriennio sarà più duro di quello che è toccato in sorte ad Emma Marcegaglia ma a questa consapevolezza non ha fatto riscontro nella relazione del debutto il coraggio necessario per avventurarsi nell’analisi e nella descrizione di questa discontinuità. Perché, se è vero che la Grande Crisi ha cambiato profondamente lo scenario attorno a noi, non è assolutamente pensabile che l’attività di rappresentanza resti uguale a se stessa, come se nulla fosse avvenuto. Si pensi, ad esempio, all’azione di lobby. Nell’epoca della crescita finanziata con la spesa pubblica l’azione della Confindustria era fin troppo lineare: si individuavano gli obiettivi, si organizzava un maxi-convegno, si raccoglieva una robusta rassegna stampa e poi iniziava il pressing sulla politica e il Parlamento per ottenere il provvedimento x o quello y.
Da allora è intervenuto un salto di paradigma, viviamo nell’era del budget zero e la rappresentanza per portare avanti i suoi legittimi obiettivi deve entrare in una logica di scambio, deve saper conciliare il sindacalismo d’impresa con l’individuazione di soluzioni valide per tutti, universalistiche. Facciamo un altro esempio: gli incentivi che a vario titolo arrivano dallo Stato al sistema delle imprese. C’è ormai una ricca pubblicistica che documenta come vi siano rilevanti dispersioni, rendite di posizione, allocazione sbagliata di risorse. Il governo ha preso l’iniziativa e ha affidato al professor Francesco Giavazzi l’incarico di riordinare la materia. Decisione sacrosanta. Perché Squinzi non l’ha nemmeno citata nella sua relazione? Pensa forse che il compito della rappresentanza d’impresa sia quello di girarsi dall’altra parte ed eludere questo nodo? Non è preferibile, invece, collaborare e caso mai mettere a punto un progetto di autoriforma degli incentivi da mettere a confronto con quello che sarà deciso dal governo?
E’ questo il cambiamento che attende le parti sociali. Abbiamo bisogno come Paese di una stagione di responsabilizzazione che non si fermi all’elaborazione delle rivendicazioni ma aiuti a produrre soluzioni. Lo abbiamo chiesto con forza e a più riprese ai sindacati dei lavoratori non possiamo non indirizzare un analogo e pacato suggerimento alla Confindustria. Del resto come sta avvenendo già per la politica i prossimi anni costituiranno uno stress test per tutte le nomenklature. I mandati saranno più corti, le verifiche più spigolose, i conflitti alto-basso più frequenti. Sopravviveranno le organizzazioni che sapranno affrontare il cambiamento modificando i propri meccanismi di funzionamento, accorciando la catena decisionale, eliminando riti e sprechi. Buon lavoro, presidente.

Fonte: Corriere della Sera del 25 maggio 2012

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