• martedì , 14 Maggio 2024

Il grande libro dei sogni delle Nazioni Unite

Sviluppo sostenibile. Dopo i Millenium goals, gli obiettivi in discussione al Palazzo di Vetro annunciano per il 2030 un Pianeta meraviglioso. Libero dalla fame, ma con strumenti sensibili all’ambiente. Senza lavoro minorile, né discriminazioni di genere. Dove l’Aids non fa più vittime. I nodi politici però sono tanti. E misurare l’utopia è una sfida anche per gli statistici.
Sarebbe un mondo meraviglioso. Gli “Obiettivi di sviluppo sostenibile” in discussione alle Nazioni Unite per il periodo 2016 – 2030 descrivono un Pianeta molto migliore della Terra di oggi. Più giusto, meno scriteriato nell’uso delle risorse naturali, attento ai diritti degli uomini e soprattutto delle donne, legato da un’intensa collaborazione internazionale. I Sustainable development goals (Sdg) andranno a sostituire i Millenium development goals (Mdg) validi per il periodo 2001 – 2015 e indicheranno una serie di scommesse ancora più difficili dei precedenti obiettivi, che sono stati raggiunti solo in parte e solo da alcuni Paesi (vedere riquadri).
La sostenibilità non riguarda solo l’ambiente naturale, ma anche la società globale minacciata da guerre, crescenti disuguaglianze, migrazioni di popoli interi. “La cancellazione della povertà è la più grande sfida che oggi il mondo deve affrontare ed è un requisito indispensabile per uno sviluppo sostenibile. Pertanto la nostra urgenza è innanzitutto di liberare l’umanità dalla miseria e dalla fame”. Così recita la bozza in discussione in questi giorni, pubblicata sul sito dell’Onu dedicato agli Sdg. L’obiettivo principale è dunque lo stesso del quindicennio che si sta concludendo, tuttavia i nuovi traguardi tengono conto delle diverse sensibilità maturate in questi anni. Pongono l’accento sui problemi del clima e della difesa dell’ambiente, mentre all’inizio del millennio i limiti della crescita non erano avvertiti con tanta chiarezza. Indicano esigenze ignorate quando si approvarono gli Mdg: la necessità di garantire energia in forme e quantità adeguate anche agli abitanti dei Paesi più arretrati; l’accento sulla tutela dei cittadini dalle prepotenze di governi autoritari; l’attenzione ai problemi dell’acqua, la priorità alla “sanitation” perché non è accettabile che miliardi di persone abbiano magari un telefonino, ma non dispongano di un gabinetto. E via elencando buoni propositi.
Un gigantesco libro dei sogni? Gigantesco certamente: i Millennium erano otto obiettivi generali, articolati in una ventina di “traguardi”, a loro volta sostanziati in una settantina di indicatori statistici. I Sustainable nella bozza attuale sono invece 17, articolati in circa 200 traguardi, che dovranno ancora essere dettagliati in un numero imprecisato di indicatori. La statistica è alla base di questo sforzo, perché la novità dei Goals consiste proprio nella quantificazione dei progressi da raggiungere. Ma il compito è immane, perché in molti campi affrontati dagli Sdg non esistono dati attendibili (per esempio, la stessa misura della sostenibilità e dello stress ambientale è molto opinabile) e soprattutto non esistono confronti internazionali validi perché proprio nei Paesi più in difficoltà l’apparato statistico è più povero. Comunque vada, il varo dei nuovi obiettivi si tradurrà in un gigantesco sforzo di potenziamento della statistical capacity che ricadrà soprattutto sulla Banca Mondiale, come già è avvenuto dopo il varo degli Mdg.
Il principio della “crescita inclusiva” è al centro nei nuovi obiettivi e rispecchia una parola d’ordine in gran voga nelle organizzazioni internazionali. Si vuole azzerare il numero delle persone che vivono sotto la soglia estrema di 1,25 dollari al giorno, un obiettivo che anche l’Economist considera possibile. Inoltre gli Sdg reclamano “un lavoro decente per tutti, compresi i giovani e i disabili,” con una formula complessa che stabilisce che in ciascun Paese l’aumento del reddito del 40% più povero dovrà essere maggiore della crescita media del reddito pro capite. Affermano che entro il 2020 dovranno essere dimezzati i giovani Neet (not in emplyment, education or training: che non studiano e non lavorano), che entro il 2030 dovrà finire il lavoro infantile, che si dovranno favorire le piccole imprese (e le tecnologie autoctone) e che si dovrà “promuovere la formalizzazione delle attività”, cioè in pratica ridurre il “nero” in tutto il mondo. Per lottare contro la fame, si vuole aumentare il reddito di chi produce cibo, con particolare attenzione alle piccole famiglie coltivatrici, ai pastori e ai pescatori. Ma si vuole anche ridurre lo spreco di cibo nella distribuzione e nel consumo.
Anche in campo sanitario i traguardi non sono meno ambiziosi, con l’obiettivo, tra l’altro, di cancellare entro il 2030 le morti per Aids, tubercolosi e malaria. Si proclama che entro il 2030 devono finire tutte le discriminazioni nei confronti delle donne, ma è particolarmente importante il primo dei target in materia di educazione: “garantire a tutti i ragazzi e le ragazze una educazione primaria e secondaria libera, giusta e di qualità”: un passo avanti importante rispetto ai Millennium che si concentravano soltanto sulla educazione elementare delle bambine.
In materia di ambiente, i traguardi spaziano da un realistico adattamento al cambiamento di clima, costruendo città più “resilienti” di fronte ai disastri naturali, alle utopie più difficili, come l’obiettivo di “fermare (entro il 2020!) la perdita di biodiversità impedendo l’estinzione di tutte le specie minacciate”. In sostanza però si rinvia alle conclusioni della COP21, la conferenza di Parigi sull’ambiente che si terrà nel dicembre 2015.
Quasi alla fine dell’elenco c’è’obiettivo più difficile di tutti: “Costruire società pacifiche e inclusive, basate sulla rule of law (lo stato di diritto) e su istituzioni efficaci ed efficienti”. Che senso ha questa utopistica elencazione, piena tra l’altro di cifre ancora in bianco e di rinvii? Per rispondere è necessario guardare all’intero processo di formazione degli Sdg. L’impulso iniziale è venuto dalla conferenza Rio+20, che si è tenuta in Brasile nel giugno 2012 per riflettere sulle condizioni del Pianeta a vent’anni dalla primo incontro mondiale sullo sviluppo sostenibile. Inizialmente si è lavorato su un doppio binario: da un lato l’aggiornamento degli Mdg, destinati soprattutto ai Paesi in via di sviluppo; dall’altro la definizione di obiettivi di sviluppo sostenibile, che dovevano investire anche i Paesi più avanzati. Ben presto però si è capito che i problemi sono ormai globali e i diversi percorsi di elaborazione sono confluiti nella gigantesca bozza ora pubblicata, elaborata con il contributo di una settantina di Paesi soprattutto nell’Open Working Group (Owg) presieduto dai rappresentanti di Kenya e Ungheria. A settembre, dopo un lavoro di limatura che proseguirà in questi mesi, i presidenti dell’Owg presenteranno il lavoro all’assemblea dell’Onu. Da quel momento, sotto la gestione diretta del segretario generale Ban Ki-moon, inizierà la “fase negoziale”, per arrivare a un documento più sintetico che possa davvero impegnare tutti i 193 Paesi dell’Onu. La maxibozza prodotta in questi giorni sarà dunque il terreno di confronto.
Molti sono i nodi politici che a quel punto verranno al pettine. Il primo è quello del dosaggio tra l’universalità degli obiettivi e le specificità nazionali. I precedenti obiettivi 2001-2015 hanno stimolato coordinamento e mobilitazione di risorse, confermando così la validità del metodo nonostante i parziali fallimenti. Molti Paesi però li hanno vissuti come un’imposizione e ne hanno ignorato le indicazioni. Questa volta si è scelta la strada di una mobilitazione molto più estesa: nel linguaggio del Palazzo di vetro, una “global conversation” articolata in molti gruppi di lavoro, che deve portare a una “global partnership” vincolante per tutti. Può essere davvero questo il grimaldello per far accettare ai Paesi più riluttanti impegni finora rifiutati, per esempio in materia di ambiente, diritti delle donne, rispetto delle minoranze? La risposta dipende anche da quello che gli Stati più ricchi e democratici metteranno sull’altro piatto della bilancia, cioè sul finanziamento dei programmi, sia sotto forma di aiuti diretti, sia di modifiche alle condizioni di mercato a favore di emergenti e sottosviluppati. L’obiettivo 17 della maxibozza Sdg è infatti una minuziosa elencazione di ben 46 azioni necessarie per rafforzare le economie meno prospere e aiutare a raggiungere gli obiettivi globali. Molte di queste azioni riguardano trattative ferme da anni, come quelle sull’ambiente e sul commercio internazionale, o impegni più volte ribaditi e mai rispettati, come la destinazione dello 0,7 per cento del Pil dei Paesi ricchi alla cooperazione internazionale.
Per avere un peso nella partita, l’Europa dovrebbe parlare con una voce sola, e in questa direzione lavora l’Italia, anche in considerazione del suo ruolo nel prossimo semestre. Un “tavolo interistituzionale” con la partecipazione di ministeri, università, Ong, Istat e altri enti di ricerca sta mettendo a punto le iniziative italiane verso i partner europei. “Sicurezza alimentare e nutrizionale, diritti delle donne, rule of law e acqua sono tra le nostre priorità”, spiega a Pagina99 Fabio Cassese, vicedirettore della Cooperazione alla Farnesina. E il suo collega Paolo Soprano del ministero dell’ambiente, che con lui coordina il tavolo, aggiunge che…
Difficile, in conclusione, dire se questo gigantesco lavoro, che in tutto il mondo sta coinvolgendo migliaia di diplomatici, economisti, statistici, esperti di varie discipline, riuscirà a collegare tutti gli Stati, o almeno gran parte di essi, in un impegno collettivo per salvare l’umanità dal disastro. La sfida però corrisponde alla dimensione dei rischi che l’umanità sta correndo in questo momento. Il prossimo quindicennio secondo molti futurologi sarà caratterizzato da una “tempesta perfetta” di sfide globali che non possono essere affrontate senza un netto miglioramento della governance internazionale: “un’ampia alleanza di popoli, governi, società civile e settore privato” come auspca la maxibozza Sdg. Un puntuale elenco di buone intenzioni è almeno un primo passo.
Box: L’Italia in cerca delle priorità europee
Per avere un peso nella definizione dei Sustainable development goals l’Europa dovrebbe parlare con una voce sola. In questa direzione si muove il governo italiano, anche in considerazione del suo ruolo nel prossimo semestre. Un “tavolo interistituzionale” con la partecipazione di ministeri, università, Ong, Istat e altri enti di ricerca è al lavoro per definire le iniziative italiane verso i partner dell’Unione, in vista di un vertice europeo che si terrà il 14 luglio a Firenze con l’obiettivo di raggiungere una posizione comune. “Sicurezza alimentare e nutrizionale, diritti delle donne, rule of law e acqua sono tra le nostre priorità”, spiega a Pagina99 Fabio Cassese, vicedirettore della Cooperazione alla Farnesina, che con Paolo Soprano (ministero dell’Ambiente) coordina il gruppo.
Box: L’exploit dei giganti asiatici
L’obiettivo numero uno dei Millennium development goals è stato raggiunto: nonostante l’aumento demografico, il numero delle persone che vivono in “povertà estrema” è stato più che dimezzato, dal 43 al 21% della popolazione mondiale. Questo risultato si deve soprattutto ai progressi in Asia, a cominciare da Cina e India. Secondo le dichiarazioni del governo cinese, la popolazione in condizioni di miseria, che vive con meno di 1,25 dollari al giorno pro capite, già nel 2010 era scesa a 27 milioni rispetto ai 94 milioni del 2000. Anche l’India ha raggiunto l’obiettivo, ma la malnutrizione è ancora un grave problema che riguarda il 40% dei bambini. Nel complesso in Estremo Oriente si sono registrati i maggiori successi in materia di Mdg: per esempio, i traguardi in materia di diritti delle donne sono stati raggiunti in ben 14 Paesi.

Box: In Africa qualcosa si muove
L’Africa è il continente che sta crescendo più in fretta, ma non raggiungerà l’obiettivo di dimezzare le situazioni di povertà estrema entro il 2015. Secondo l’ Mdg Report 2013, soprattutto nell’Africa subsahariana “il cambiamento di clima sta rendendo impossibile la sopravvivenza in alcune zone, accentuando l’insicurezza alimentare, la percentuale di bambini sottopeso, la fame diffusa e schemi di consumo alimentare troppo poveri”. Tuttavia, se si guarda al quadro complessivo degli Mdg, “nel 2012, dei 20 Paesi che hanno fatto i progressi più importanti nel raggiungimento degli obiettivi ben 15 si trovano in Africa, con risultati particolarmente significativi in Benin, Egitto, Etiopia, Gambia, Malawi e Ruanda”. Secondo uno studio della Banca mondiale, numerosi Paesi africani, dal Ghana alla Mauritania, dal Kenya alla Tanzania, hanno raggiunto la parità di genere nella scuola primaria. Anche la diffusione di Aids, tubercolosi e malaria, per quanto ancora allarmante, ha visto una diminuzione del numero di ammalati sul totale della popolazione.
Box: un mondo migliore inizia dai gabinetti
“End open defecation”: l’assemblea generale dell’Onu dello scorso anno ha aggiunto agli Obiettivi del millennio l’accesso ai servizi sanitari. Oggi 2,5 miliardi di persone (un terzo dell’umanità) non dispone di latrine adeguate e, come si legge dal sito degli Mdg, “un miliardo non ha altra scelta che defecare all’esterno, per terra e in piena vista da parte della gente”. La situazione può avere conseguenze drammatiche, come si è visto di recente in India, con la vicenda delle ragazzine stuprate e uccise mentre cercavano un posto appartato. Secondo il vicesegretario dell’Onu Jan Eliasson che un mese fa ha lanciato con forza la campagna, “ogni due minuti e mezzo un bambino muore per malattie legate alla defecazione all’aperto. Questa materia non è affrontata dai media e non è oggetto di dibattito pubblico. Non possiamo più tacere”.

Fonte: Pagina 99 - 28 giugno 2014

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