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Diego punta al Corrierone

Fatto fuori Geronzi, il padrone delle Tod’s guarda a via Solferino. Per ora ha solo un 5,4 per cento e vuole contare molto di più. I soldi non gli mancano: il problema è farsi largo nel patto di sindacato
(15 aprile 2011) La sede del Corriere della SeraDiego Della Valle, il “giovane anziano” vittorioso sull'”arzillo vecchietto” Cesare Geronzi – delicati epiteti che si sono scambiati i due protagonisti – riuscirà nell’intento di conquistare il “Corriere della Sera”? Che a lui piaccia assai il giocattolo editoriale che gli è costato 143 milioni ma che oggi la finanziaria in cui l’ha custodito valuta solo 48, non è un mistero. “In un capitalismo di relazione com’è il nostro, stai nei posti o per contare, o per parare le mosse degli altri”, è l’aforisma di uno che i capitalisti li conosce da vicino. Della Valle nella Rcs ha capito che non riesce a contare come vorrebbe, senza neanche riuscire a parare i colpi.
Il giornale va dove vuole – non senza il mal di pancia di diversi azionisti – e sulla nomina del direttore ha contato finora solo la suasion, a volte solo moral, a volte no, di Giovanni Bazoli. Cosicché, il tentativo per esempio di portare sulla massima poltrona di via Solferino Carlo Rossella, sponsorizzato dal padrone di Tod’s in sostituzione di Paolo Mieli, fu stoppato dal roccioso banchiere bresciano (e dall’alleato Geronzi) e finì com’era cominciato.
Ora invece per Diego Della Valle sembra presentarsi un’occasione d’oro, insperata, una di quelle che capitano una volta nella vita. Gliela prospetta Tarak Ben Ammar, il finanziere tunisino che nelle faccende di casa nostra non ha mai mosso foglia che non piacesse a Silvio Berlusconi, ma che ora sembra giocare anche altre, magari personali, partite: “Della Valle? Che se lo prenda, il “Corriere””, ha concesso. Esagerato? Eppure nei sommovimenti tra Milano e Trieste che stanno ridisegnando pesi e poteri nella galassia che lega Mediobanca a Generali, i loro grandi azionisti, e i tesori di partecipazioni in portafoglio, l’imprenditore di Casette d’Ete, detto con sfottò “lo scarparo”, potrebbe davvero avere un via libera, un lasciapassare per far suo il “Corrierone”.
Tanto che lui sembra cogliere la palla al volo annunciando: “Passo la guida dell’azienda a mio fratello, mi voglio tenere libero”. Dunque ci siamo? “La partita è interessante, il declino di Berlusconi è evidente, magari durerà ancora due anni, ma non è un caso che nuovi interessi si mettano in moto, e che equilibri che sembravano solidissimi si rompano”, non nasconde l’entusiasmo Savino Pezzotta, parlamentare Udc: con il nuovo assetto, per il Centro si aprirebbero nuove praterie, pascoli sconfinati. “Della Valle è un provinciale che si è montato la testa”, dice viceversa un altro osservatore che preferisce l’anonimato: “D’altra parte, chi ha voluto il “Corriere” finora ha sempre preso la scossa”. Ne sa qualcosa Stefano Ricucci, che si svenò per rastrellare il 21 per cento del capitale di Rcs, e rimase al palo.
Della Valle, per carità, non è un parvenu come Ricucci. Appartiene all’establishment, ha un impero che cresce senza sosta (più 10 per cento i ricavi nel 2010 a 787 milioni di euro, più 28,6 gli utili a 110,8 milioni), e da cui solo nell’ultimo anno ha incassato un centinaio di milioni di dividendi, più un assegno di 230 milioni grazie al collocamento privato di una quota pari al 10 per cento, tutto da dividere con il fratello Andrea. Poi ha una serie di partecipazioni che conserva nelle sue finanziarie personali, Dorint in testa, che vanno dalla Fiorentina alla Bialetti, dalla Piaggio a Cinecittà, al fondo Charme dell’amico fraterno Luca di Montezemolo con cui è anche nella compagnia di treni Ntv. Stime recenti gli attribuiscono una liquidità personale di 300 milioni, più altrettanti nella holding di famiglia. Insomma, spalle robuste per affrontare (certo con l’aiuto di una banca: finora Della Valle ha sempre trovato vicine alle sue iniziative Bnl-Paribas e Banca Intesa) uno shopping alquanto impegnativo come quello del “Corriere”, che oggi vale in Borsa poco meno di un miliardo.
Ma il problema è: chi glielo potrebbe vendere? Oggi il controllo di Rcs fa capo a un patto che blinda il 63,5 per cento del capitale. Patto in cui siedono Mediobanca con il pacchetto più importante (il 14 per cento), seguita dalla Fiat (con il 10), e poi Tronchetti, Merloni, Pesenti, e via dicendo, che è stato appena riconfermato dai partecipanti, Della Valle incluso, fino al marzo 2014. Chi vuole vendere deve farlo offrendo la quota agli altri pattisti, in proporzione. Ma ci sono altri pacchetti, sostanziosi, che sono rimasti fuori dal patto: quello dei Benetton, e quello dei Rotelli. L’imprenditore marchigiano punta a mettere le mani su quello di Giuseppe Rotelli, il re della sanità lombarda, che ha un 7,5 di proprietà e un altro 3,5 del Banco Popolare di cui può esercitare il diritto di voto. Nonostante il suo peso, Rotelli è stato tenuto a bordo campo, e ora sarebbe disposto a liberarsi dell’investimento, a condizione di non perderci: di una intesa di massima con Della Valle per una cessione si era già parlato, ma resta l’ostacolo prezzo, avendo Rotelli acquistato quando il titolo era poco sotto i 4 euro, mentre ora galleggia su 1,30.

Fonte: Espresso del 15 aprile 2011

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