• mercoledì , 9 Ottobre 2024

Acqua, ora inizia la sfida

I referendum hanno detto che, almeno quando c’è in ballo un servizio essenziale come quello dell’acqua, il pubblico è più affidabile del privato. Bene, perché la situazione normativa era tale che realizzare quanto previsto dal “decreto Ronchi” sarebbe stato un danno per il patrimonio pubblico e sicuramente anche per le tasche dei cittadini. Ora però il pubblico deve dimostrare che la fiducia ottenuta è stata ben riposta e che si può gestire il servizio idrico aumentando l’efficienza e la qualità e riducendo i costi. Per riuscirci c’è bisogno di una serie di mosse: è assai dubbio che questo governo agonizzante sia in grado di compierle, ma intanto si può in parte cominciare a definirle, in parte anche realizzarle se vi si impegneranno istituzioni direttamente interessate al problema e vicine al territorio, come l’associazione dei Comuni (Anci) e la Conferenza Stato-Regioni.
Innanzitutto sarebbe necessaria un’Authority vera. Non l’Agenzia che il governo avrebbe intenzione di varare, ma un’autorità indipendente e con forti poteri sanzionatori, di regolazione e di controllo. Il referendum della scheda gialla ha stabilito che il gestore del servizio non può aumentare la bolletta per remunerare gli investimenti, ma questo non significa che la tariffa non debba tener conto di tutti i costi, compresi quelli del capitale necessario agli investimenti, senza di che questi ultimi semplicemente non si farebbero. Ma questo può facilmente dare adito ad abusi, e dunque c’è bisogno di un controllore che verifichi quando e quali investimenti sono necessari e quale sia il costo effettivo che gli utenti sono chiamati a coprire. L’Authority inoltre dovrebbe individuare una serie di parametri di qualità e di efficienza del servizio, che servano sia a verificare che il gestore sia in grado di migliorare, sia a ripartire gli effetti positivi dei guadagni di efficienza tra il gestore e gli utenti. In altre parole, la bolletta dovrebbe aumentare perché bisogna spendere per migliorare le strutture – si stima che servano due-tre miliardi l’anno – ma i guadagni di efficienza dovrebbero far diminuire progressivamente i costi e questo dovrebbe andare anche a riduzione del peso degli aumenti.
Anche sulla struttura della tariffa si dovrà ragionare. Uno degli svariati motivi dell’inopportunità della gestione privata è che un gestore di questo tipo deve inevitabilmente tendere a vendere più prodotto possibile, quindi a far consumare di più, mentre di questa risorsa preziosa bisognerebbe fare un uso oculato. Un incentivo a stare attenti ai consumi potrebbe essere una tariffa che preveda una “fascia sociale” a prezzi più moderati, e poi aumenti progressivi a scaglioni secondo il principio “chi più consuma più paga”. Del resto un sistema del genere è già in vigore sulla bolletta elettrica.
In attesa che l’Authority arrivi, gli enti locali potrebbero prendere l’iniziativa di dar vita a un organismo tecnico che individui i parametri di qualità e di efficienza, che servirebbero tanto a loro che alle società di gestione per valutare con una certa oggettività che cosa si sta facendo. A regime questo sistema, in analogia con i “costi standard” elaborati per la sanità, dovrebbe servire anche, evidenziando chi non sta facendo un buon lavoro, ad intervenire prima con avvertimenti e poi, se a questi non segue un miglioramento, con sanzioni. Non a caricodelle società, però, perché equivarrebbe a punire ulteriormente gli utenti, ma direttamente a carico degli amministratori: si potrebbe pensare di estendere anche al settore delle utility la disciplina varata per gli enti locali in dissesto, che arriva a prevedere la rimozione degli amministratori e la loro interdizione per dieci anni da incarichi analoghi. Tra i parametri potrebbero rientrare il numero e il costo del personale (naturalmente parametrato alla dimesione del servizio), il che dovrebbe porre un freno ai casi di sovrabbondanza di dipendenti dovuta al clientelismo; ma anche il numero e il costo degli amministratori, fattore a rischio non minore di inquinamento politico.
Certo, dell’apporto della politica non si potrà fare a meno. Nel senso che servirà non solo l’Authority, ma anche di fare ordine in un settore dove le competenze fanno capo a fin troppi soggetti, non si sa quanto coordinati. Sull’acqua hanno competenza almeno un paio di ministeri, le Province, ovviamente i Comuni, gli Ato, i Consorzi di bonifica, il Magistrato delle acque; e forse ne dimentichiamo qualcuno. Il fatto che questi soggetti – e anzi, si spera, qualcuno di meno – agiscano in base a un unico piano è ovviamente fondamentale.
La contrapposizione di pubblico e privato, se è astratta e non legata a problema specifici, non è altro che ideologia deteriore. Ci sono casi in cui è meglio affidarsi al secondo, altri – e il servizio idrico a nostro parere è uno di questi – in cui è invece opportuna la gestione pubblica. Che però, proprio come quella privata, ha bisogno di buone regole e di controlli: lo spreco non è meno dannoso della speculazione.

Fonte: Repubblica del 14 giugno 2011

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