• sabato , 27 Luglio 2024

Ai prof. che non accettano lezioni dico che la riforma del lavoro è sbagliata

La cosa più difficile da sopportare da parte dei professori al governo del Paese è la loro prosopopea. Non sopportano non solo le critiche (chi è al potere le deve sempre mettere in conto), ma non tollerano nemmeno opinioni diverse dalle loro. A me dispiace dover fare queste amare considerazioni, che mi costerà sicuramente il commento di qualche lettore che lo aveva capito subito, tanto che lui preferiva andare a votare, senza passare per questo processo politico che ormai ha perso ogni spinta propulsiva. E dispiace ancora di più dover dissentire da persone che si conoscono da anni per le quali si nutre stima e considerazione. Per chiunque sarebbe difficile accettare un giudizio gravemente dissenziente sul proprio operato, quando si è convinti di essersi comportati nel migliore dei modi possibili. E’ normale ed umano difendere il proprio lavoro soprattutto quando è stato duro, impegnativo e difficile, quando si è persuasi della sua utilità. Non riesco però a capacitarmi di come sia stato possibile concepire un disegno di legge al pari di quello sul mercato del lavoro ora all’esame del Senato. Poi, so benissimo che, bene che vada, si faranno solo delle modifiche (più o meno significative ma limitate) e che il provvedimento finirà per essere approvato, perché la politica vuole che l’attuale governo vada avanti, comunque. Rispetto a questo prevedibile esito ci sarà spazio, al massimo, per qualche distinzione di carattere personale.
Rivendico a me stesso un ruolo (giudichino gli altri quanto rilevante) nell’aver spostato l’azione del Pdl sulle problematiche della flessibilità in entrata (la legge Biagi viene stravolta) collocandosi così alla testa di una ampia protesta del mondo delle imprese, anch’esso resosi conto un po’ tardivamente degli incredibili guasti che provocherebbe il disegno di legge sulla politica delle assunzioni, se non venisse modificato. A fronte di tale situazione mi domando come possa un esecutivo di persone che di narici ne hanno solo due varare una riforma del mercato del lavoro che ha contro il sistema delle imprese. E come possa evitare di porsi una semplice domanda: non avremo sbagliato qualcosa?
Eppure, quei media che assecondavano il Pd quando si faceva portavoce delle istanze della Cgil sull’articolo 18, oggi osservano con sospetto () l’azione del Pdl, come se davvero credessero che i mercati approvano un provvedimento che irrigidisce il mercato del lavoro assai più di quanto avesse fatto nel 2007, a seguito del Patto sul welfare (negoziato parola per parola con i sindacati), il governo Prodi con una maggioranza che includeva i comunisti.
Resto poi addolorato e stupito per certe affermazioni del ministro Elsa Fornero dalle quali traspare una visione dei rapporti produttivi e sociali che spiegano la cultura di fondo del disegno di legge, secondo la quale ogni rapporto di lavoro flessibile è sospettato di essere fasullo, a meno che non si provi il contrario. Come non chiedersi i reali motivi per cui un datore è costretto a sfruttare tutti i margini di flessibilità che gli concede l’ordinamento giuridico, all’interno di un modello sociale che non ha (tuttora) mobilità in uscita e soprattutto quando non vi è nessuna certezza nel futuro? Certo, tra i datori ci sono i disonesti, i profittatori. Ma se un assume a termine, non lo fa solo per , ma perché non è in grado, spesso, di caricarsi di impegni duraturi con quei lavoratori impiegati in modo temporaneo, dal momento che non sa quali e quante commesse avrà nei mesi che verranno. E come si fa a dire che sono i datori di lavoro a creare gli (l’ultima delle grandi tragedie nazionali gonfiate a bella posta)? Si può ragionevolmente pensare che un’azienda possa stabilizzare del personale di cui non ha bisogno soltanto perché glielo impone la legge e tenerlo occupato quando non vi sono più le condizioni?
Alle spalle di questo dibattito sembra di intravvedere una grande , quel personaggio che deve stare fermo perché il suo avversario riesca ad infilzarlo. Il gioco è semplice: premesso che le imprese devono assumere per definizione (?) è sufficiente vincolarne le scelte in entrata e in uscita dal rapporto di lavoro. Così si combatte la precarietà e si qualifica il lavoro. Il fatto è che, alla fine, il cavallo non berrà: le imprese non assumeranno secondo i diktat di Susanna Camusso.

Fonte: Occidentale del 16 aprile 2012

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