• martedì , 3 Dicembre 2024

Tutti i nodi che l’accordo tra Confindustria e sindacati non scioglie

L’accordo interconfederale sottoscritto il 28 giugno scorso è indubbiamente – il primo a riconoscerlo, non a caso, è stato Giulio Tremonti proprio nelle ore in cui stava preparando la manovra che dovrebbe portare al pareggio del bilancio – un fatto di grande importanza sotto molti punti di vista. Dopo anni di polemiche feroci, Cgil, Cisl e Uil e Confindustria ritrovano un rapporto unitario sulle regole, individuando dei contenuti in grado di dare delle risposte ai problemi aperti nel campo delle relazioni industriali.
Certo, l’accordo è una creatura gracile esposta a tanti rischi. Per taluni aspetti – come per la certificazione della rappresentanza, che è sicuramente l’asse portante del nuovo modello – si devono attendere le modalità applicative. Poi resta aperta la problematica del rapporto tra contrattazione nazionale (il cui ruolo è assai valorizzato) e decentrata, a partire da quelle “intese modificative delle regolamentazioni contenute nei contratti collettivi nazionali di lavoro” che dovrebbero costituire un modo più soft per definire le clausole di deroga di cui all’accordo quadro del 2009 (che costituirono – è bene ricordarlo – il principale motivo per cui la Cgil di Guglielmo Epifani non aderì all’intesa di due anni or sono). Le insidie più pericolose, tuttavia, si trovano nell’ombra delle relazione politiche. Le contestazioni si muovono all’interno della Cgil e della Confindustria.
Susanna Camusso deve piegare la resistenza irriducibile della Fiom; Emma Marcegaglia probabilmente non riuscirà ad evitare l’uscita della Fiat da Viale dell’Astronomia. In sostanza, è possibile che l’accordo del 28 giugno non sia in grado di recuperare quelle situazioni di conflittualità esasperata che hanno indotto i vertici sindacali e confindustriali ad andare alla ricerca di un’intesa. Al di là delle rappresentazione un po’ banale degli “opposti estremismi”, il fatto è che la “guerra” aperta tra Maurizio Landini e Sergio Marchionne si è spinta troppo lontano, fino ad un punto in cui sono in gioco le ragioni essenziali delle parti in causa. La Fiom ha combattuto, con durezza pari soltanto all’ irresponsabilità, il piano industriale della Fiat, la quale ha reagito trovando legittimamente il modo di escludere la bellicosa federazione di categoria dagli organismi di rappresentanza. A sua volta, la Fiom non ha esitato ad avvalersi della “arma letale” del contenzioso giudiziario, prendendo di mira, nella NewCo, il presupposto del programma “Fabbrica Italia”.
L’accordo del 28 giugno non risolve tali problemi. Si tratta di una circostanza singolare – come ha rilevato il ministro Sacconi – dal momento che è stato proprio il caso Fiat a porre con forza il problema di un nuovo modello di relazioni industriali. Maurizio Sacconi ha ipotizzato, persino, l’idea di un’ iniziativa legislativa i cui contorni non sono stati chiariti a sufficienza per un motivo molto semplice: la soluzione legislativa è tutt’altro che semplice, anche sul piano giuridico. Intanto, è opportuno che l’intesa tenga. E lo faccia sul fronte interno più delicato: quello della Cgil che riunisce domani il proprio Comitato direttivo. La Fiom non si farà mancare nulla. Ma la posizione del suo gruppo dirigente è abbastanza isolata all’interno dell’organizzazione.
Le altre categorie, le strutture orizzontali non hanno mai smesso di svolgere il ‘mestiere’ del sindacato: hanno continuato a ragionare con le altre sigle, a stipulare accordi e a gestire vertenze di aziende in crisi; i loro gruppi dirigenti non ne potevano più di essere condizionati da un manipolo di visionari. Ma la prova più insidiosa Susanna Camusso non deve vincerla sul piano interno. Il suo avversario effettivo è quel Circo Barnum sinistrorso, composto da intellettuali di regime ed ispirati da Michele Santoro, che in questi mesi ha trasformato Maurizio Landini in un profeta.
Quel Circo Barnum che ha sottoscritto decine di appelli a sostegno della pausa caffè tagliata dal perfido Marchionne e che ora si sente tradito dalla svolta riformista della Cgil. La sinistra italiana non è mai riuscita a liberarsi del vizio del “pas d’ennemi à gauche”. Così, le critiche che vengono dal mondo variopinto del sodalizio pro Landini producono inevitabilmente una moral suasion negativa per la maggioranza che si riconosce in Susanna Camusso.

Fonte: Occidentale del 4 luglio 2011

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