• martedì , 3 Dicembre 2024

Tutti i nodi che frenano l’economia tedesca

di Fabrizio Onida

Dopo il crollo del muro di Berlino e la riunificazione delle due Germanie sancita nel1990, accompagnata dalla audace scommessa di Kohl nel fissare a 1:1 il nuovo cambio fra marco orientale e occidentale, durò alcuni mesi un diffuso pessimismo circa i nodi irrisolti di quella controversa scelta schiettamente politica (non “tecnica”). In quel periodo The Economist dedicò una delle sue famose copertine alla Germania che si condannava ad essere “il paese malato dell’Eurozona”, con la palla al piede di una disoccupazione cronica nella ex-DDR. Alcuni anni dopo quella scelta lungimirante di Kohl si rivelò tappa fondamentale per la costruzione dell’Europa a 27, poi progressivamente allargata.

Perché ritorna oggi lo spettro di una Germania “nuova malata d’Europa”? Al di là dei segnali di debolezza congiunturale che frenano la ripresa post-pandemica, i nodi di fondo si chiamano: investimenti pubblici sottodimensionati, invecchiamento demografico, alti costi dell’energia, lenta digitalizzazione della burocrazia, perdita di competitività sui mercati di esportazione.

Dopo la forte recessione da pandemia del Pil nel 2020 (-4%) e la mini recessione del 2023, per il corrente 2024 la Germania si prepara a registrare il più basso tasso di crescita nell’Euroarea (0,1%), con consumi e investimenti sotto il livello pre-pandemia. Nonostante una finanza pubblica in piena salute a confronto con gli altri paesi membri, la crescita degli investimenti pubblici è deliberatamente frenata rispetto alla media Ue.

A causa degli alti tassi d’interesse e dei rincari nei costi di costruzione, gli investimenti edilizi crescono a rilento, lasciando una domanda insoddisfatta di 800.000 alloggi.
Anche come riflesso del cosiddetto inverno demografico, due quinti delle imprese soffrono una cronica difficoltà a reperire manodopera qualificata. Il tasso ufficiale di disoccupazione è mantenuto artificiosamente basso per la pratica diffusa di riserva precauzionale di manodopera (labour hoarding).

Le proiezioni demografiche danno una forza lavoro (popolazione in età 20-64) che scenderà da 50 milioni di unità (2023) a 46 milioni nel 2035.
L’abbandono dei programmi nucleari, combinato col venir meno degli approvvigionamenti di gas dalla Russia come riflesso delle sanzioni a seguito della guerra russo-ukraina, condannano la Germania a costosi reperimenti di altre forniture (come gas liquefatto dagli Usa) oltre che al lento sviluppo delle energie alternative non fossili.

La digitalizzazione dell’apparato pubblico è in ritardo sulla tabella di marcia, per cause tristemente note in Italia come (udite,udite!) la complessità delle normative e la insufficiente interoperatività fra i diversi livelli dell’amministrazione centrale e locale. Ottenere la licenza per aprire una nuova attività richiede 120 giorni, il doppio rispetto alla media dei paesi Ocse.

Parlando di innovazione e competitività, invece, la Germania continua a primeggiare fra i membri Ue negli investimenti in Ricerca&Sviluppo (3,1% sul Pil, con l’obiettivo del 3,5% nel 2025), anche se con una forte concentrazione sugli autoveicoli e una bassa quota di partecipazione delle PMI (0,20% contro uno 0,38% nella media Ue).
La somma di denaro da PNNR e fondi europei di coesione nel 2021-2027 mette a disposizione della Germania una iniezione di risorse (tra aiuti pubblici e prestiti) pari all’1,2% del Pil, contro un 5,2% nella media Ue. Ma la crescente pressione dell’industria manifatturiera cinese come fornitore diversificato e aggressivo sull’intero arco dei mercati mondiali, più e meno sviluppati, mette in difficoltà l’industria manifatturiera tedesca (si pensi agli autoveicoli elettrici e ibridi) ancor più di quella dell’Italia, che resta secondo produttore manifatturiero d’Europa.

Pur con qualche riserva sulla significatività e attendibilità dei 333 indicatori nazionali locali e internazionali utilizzati, si può annotare che in meno di un decennio la Germania è scesa dal 6° al 22° posto nella graduatoria del IMD World Competitiveness Ranking. In termini di Pil per abitante a parità dei poteri d’acquisto, le statistiche ufficiali segnalano un arretramento della Germania dal 89% del livello degli Usa nel 2017 all’80% nel 2023.

Secondo The Economist Intelligence Unit, la stima di crescita del “Pil potenziale” vede oggi la Germania all’ultimo posto nella Ue.
In questo contesto, una raccomandazione al governo tedesco che proviene dai principali osservatori economici internazionali, in particolare sottolineata dall’autorevole commentatore indipendente Martin Wolf sul Financial Times, è quella di abbandonare la “follia o ipocrisia” che vede nel debito pubblico il nemico numero uno, mantenendo quella cronica eccedenza di risparmio nazionale rispetto agli investimenti (e conseguente avanzo della bilancia tedesca delle partite correnti), che frena lo sviluppo dell’intera area economica europea: osservazione contenuta anche nel recente Rapporto di Enrico Letta “Much more than a market. Speed, security, solidarity” (aprile 2024, trad. italiana Il Mulino).

(Sole24Ore, 28 luglio 2024)

Fonte: Sole24Ore, 28 luglio 2024

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