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Tre priorità per far ripartire l’economia

Caro Direttore, Mercoledì 12 gennaio la Commissione Ue ha approvato l’Annual Growth Survey, il documento con cui si apre il nuovo sistema di governance dell’Europa. L’approvazione del documento si inserisce in uno scenario economico europeo che presenta luci e ombre. Se l’economia tedesca cresce nel 2010 al livello record del 3,6% e si avvia sulla strada della piena occupazione, Spagna, Portogallo, Grecia e Irlanda sotto la minaccia della speculazione finanziaria internazionale soffrono con parametri macroeconomici deboli. L’Italia è in una situazione intermedia con punti di forza quali la solidità del sistema bancario, e debolezze fortemente penalizzanti quali la bassa crescita. Tuttavia si registrano segnali incoraggianti come l’accelerazione della produzione industriale che a novembre del 2010, su base annua, registra un +4,1%. Segnali sui quali occorre impiantare una decisa strategia di supporto alla crescita.
Come previsto dalla Strategia Europa 2020, l’Annual Growth Survey identifica le sfide economiche che l’Europa si trova di fronte e identifica le azioni prioritarie per affrontarle. Il documento della Commissione è la base di discussione per il Consiglio europeo che in marzo trarrà le conclusioni sulle sfide economiche comuni e darà indirizzi strategici alle politiche di riforma. Saranno queste linee guida che dovranno poi essere tradotte in politiche nazionali. Politiche e strategie devono essere incluse nei due documenti fondamentali che ciascun paese dovrà presentare in aprile alla Commissione e poi al Consiglio, che dovrà esprimere le raccomandazioni ai governi quando i bilanci nazionali saranno in fase preparatoria. I documenti sono il Programma di stabilità e convergenza e il Programma nazionale delle riforme. Il primo riguarda le decisioni di finanza pubblica collegate al quadro macroeconomico. Il secondo il programma di azioni necessarie a sostenere il processo di crescita e convergenza strutturale che ciascun paese si propone di adottare nel quadro dei vincoli di bilancio assunti con il primo documento, ma al tempo stesso come condizione di rispetto degli obiettivi di competitività che garantiscono il quadro macroeconomico previsionale di riferimento sul quale il programma di finanza pubblica è stato costruito. Il Consiglio europeo approverà entro luglio le raccomandazioni ai paesi. Il calendario, prevedendo la parallela discussione e presentazione dei documenti di bilancio e del piano di riforme da parte dei paesi membri, indica di per sé la stretta connessione tra le due componenti di una strategia economica e come l’una perda di credibilità senza l’altra. L’impatto della crisi sull’Europa è sintetizzabile in tre questioni: riduzione dell’attività economica e aumento della disoccupazione, caduta della produttività e indebolimento delle finanze pubbliche. Le prospettive in assenza di azioni strutturali indicano un effetto negativo prolungato sulla crescita potenziale, che si attesterebbe intorno all’1,5% fino al 2020. La ripresa debole di natura ciclica in atto non sarà in grado di riportare l’Europa alla situazione precrisi e neppure di assorbire il deficit accumulato. Per evitare la stagnazione, correggere gli squilibri accumulati e assicurare competitività, l’Europa deve accelerare il consolidamento delle finanze pubbliche, riformare il settore finanziario e attuare riforme strutturali concentrando sforzi e risorse nell’immediato. Gli Stati sono invitati a dare indicazioni sugli obiettivi per ottenere alti livelli di occupazione, produttività, competitività, coesione sociale. Il documento comunitario invita ad adottare misure chiave in tre aree: consolidamento fiscale per rafforzare la stabilità, riforme del mercato del lavoro, misure di rafforzamento della crescita. L’insistenza sulla connessione tra le tre aree di azione pervade il documento. La Commissione indica politiche di rigore per il consolidamento fiscale, per ristabilire il normale funzionamento del settore finanziario, per una riduzione della disoccupazione, chiarendo che le priorità non potranno essere rese effettive senza uno sforzo immediato di azioni procrescita.
L’analisi offerta dal documento comunitario riguarda l’Europa nel suo complesso. L’Italia vi si può riconoscere? Io credo di sì, poiché nel quadro offerto il nostro paese non appare certo un’anomalia. L’Italia si ritrova nei problemi comuni, con qualche debolezza in più e qualcuna in meno. Il deficit è tra i più bassi d’Europa, ma il suo debito il più alto dopo la Grecia. Il tasso di disoccupazione è inferiore alla media europea ma anche il tasso di occupazione. Il settore bancario è tra i più solidi ma lo stato dell’istruzione e della ricerca è tra i più disastrati e il suo tasso di crescita è strutturalmente inferiore a quello europeo. L’Italia si presenta forse più stabile di molta parte dell’Europa dopo questa crisi, ma ha una stabilità troppo prossima alla stagnazione e quindi con forti pericoli di instabilità futura. Partendo dall’analisi delle situazioni di relativa forza e di relativa debolezza, l’Italia, come gli altri paesi, dovrà interpretare i messaggi comunitari e disegnare la propria politica di bilancio e la propria azione di riforma.
Per la politica di bilancio, la Decisione di finanza pubblica approvata dal Parlamento offre il quadro del triennio in linea con le indicazioni europee di rientro dal deficit e di stabilizzazione del debito. Vale anche per noi l’invito a spostare il peso della tassazione dalle imposte dirette a quelle indirette che sono più procrescita e ad allargare la base imponibile senza aumentare le aliquote. Indicazioni per una riforma fiscale allineate a quelle che trovano ampia concordanza di opinioni in Italia ma aspettano di diventare provvedimenti di riforma. Così come sono nel programma del governo italiano i messaggi sulle azioni procrescita: sostegno alla ricerca e liberalizzazione dei mercati, diffusione dell’Ict, politiche di efficienza energetica che possono creare lavoro nelle costruzioni e nei servizi, riduzione degli oneri burocratici. Su queste azioni il governo ha in corso interventi e riforme che tuttavia hanno bisogno di ritrovare slancio di attuazione nella consapevolezza che esse, in gran parte, non richiedono aumenti di spesa pubblica o che rappresentano non spesa corrente improduttiva ma investimenti necessari alla crescita e al rafforzamento della sostenibilità finanziaria del debito pubblico. Per fortuna la Commissione ripropone lo strumento degli Eurobond, necessario non solo al finanziamento del debito ma anche alle infrastrutture. Investimenti questi che devono essere sottratti ai vincoli di bilancio fissati nell’ambito dei programmi nazionali di stabilità, all’interno di una strategia concordata a livello Ue. La bozza del Programma nazionale di riforma è già stata approntata in novembre dal governo italiano. Contiene un inventario di idee e proposte. Ora dev’essere impiantata rapidamente una discussione ampia, non solo nel Parlamento, sulle azioni necessarie a implementarlo chiarendo i tempi di attuazione, le priorità e le risorse atte a non renderlo una vana enunciazione di intenzioni. Le parti sociali hanno preparato una serie di documenti congiunti con idee e proposte su crescita e occupazione in cui si affrontano temi di emergenze sociali, ricerca e innovazione, mezzogiorno, semplificazione burocratica, rilancio degli investimenti infrastrutturali. Esigenze e rivendicazioni condivisibili che vanno ricondotte a unità operativa: esame delle compatibilità e azione certa in grado di dare il quadro di riferimento agli operatori sui mercati, ai quali è demandata l’innovazione, la competitività e la crescita.
Non si tratta di rinnovare fasti concertativi, siano essi tra maggioranza e opposizione o tra parti sociali, mediati dalla spesa pubblica. Occorre invece affermare che lo sforzo che il paese deve compiere per rilanciare la crescita richiede un confronto democratico serio all’interno del governo, tra questo e l’opposizione e tra tutte le parti sociali sulla situazione reale del paese, sulle azioni intraprese e su quelle da intraprendere o da completare, su quali siano i vincoli e le strategie che discendono dagli obblighi connessi all’appartenenza a un’unione monetaria, ma che soprattutto derivano dall’obiettivo di sfruttare tutti i benefici che provengono da questa appartenenza per non rischiare di subirne solo gli aspetti meno positivi.
I benefici di una strategia si hanno solo quando la si adotta consapevolmente e completamente, perché ogni strategia è composta di varie parti collegate e mutualmente necessarie, e se si trascura una parte sono gli obiettivi complessivi a essere mancati, non solo quelli relativi alla parte mancante. Il risultato rischia di essere non parzialmente positivo ma negativo. Il confronto e la discussione devono quindi avvenire all’interno dei vari paesi tra parti consapevoli. E non si pensi che il calendario descritto del Semestre europeo rappresenti solo una manifestazione dei riti esoterici celebrati a Bruxelles da delegare a appositi “sacerdoti” delegati a presenziarli e a riferirne di tanto in tanto al paese, nel frattempo occupato a discutere di altro. Con il Semestre europeo i singoli paesi sono chiamati a una consapevolezza del contesto internazionale ed europeo nel quale essi si muovono e a capire che l’efficacia delle proprie politiche dipende dal coordinamento con quelle degli altri paesi dell’Unione, cioè dalla strategia comune. Ciò è tanto più vero oggi in cui il futuro dell’economia europea e dei singoli stati che la compongono dipende dalla capacità di guardare al di fuori dell’Europa, ai mercati globalizzati e al confronto tra le grandi aree economiche e politiche.

Fonte: Affari e Finanza del 24 gennaio 2011

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