• martedì , 5 Novembre 2024

Si presenta Super Mario

Sarkozy nuclearista convinto, Tremonti doppelganger, e Draghi che conquista parlamentari e giornalisti. Anteprima di Straneuropa. Ventiquattro ore dopo il successo referendario in Italia, Nicolas Sarkozy dice in un discorso a Bruxelles che l’unico modo per ridurre le emissioni di CO2 è il ricorso al nucleare, il che magari sarà anche vero, ma uno statista non deve mai smettere di credere nella possibilità di cambiare la storia. Il suo discorso è antispeculazione, molto alto nei toni. Punta a togliere le materie prime – dal grano al rame – dalle mani degli speculatori. E’ un buon proposito, se non fosse che uno dei suoi più grande sostenitori – il finanziere Vincent Bolloré – scommette da anni sul litio e le batterie che se ne possono trarre.
Intanto Mario Draghi s’è presentato al parlamento europeo. E’ piaciuto a tutti, o quasi. Oggi sarà votato senza sorpresa. Una collega olandese e uno britannico ammettono: “Mi pare meglio di Trichet”.
A proposito. Ieri sera verso le sette Giulio Tremonti è andato in visita al presidente della Commissione Ue Barroso. Sul circuito televisivo Ebs hanno annunciato l’evento come “Mario Tremonti” incontra il portoghese. Mario? Meno male che Tremonti non lo ha visto.
E ora la cronaca…
Dopo due ore e mezza sotto il fuoco degli eurodeputati, Mario Draghi ringrazia. «E’ la mia prima esperienza di controllo democratico europeo, ho imparato delle cose e la ricorderò con gratitudine», confessa il governatore di Bankitalia mentre lascia l’affollata aula del parlamento Ue i cui si è sottoposto all’esame finale prima della nomina al vertice della Bce. Gli hanno chiesto di tutto e lui ha risposto ribadendo la vocazione a garantire la stabilità monetaria e quella a battersi per regole forti e uguali per ogni mercato. Interrogato sulla Grecia ha avvertito dai rischi di una bancarotta. «C’è chi aspetta di poter sfruttare una situazione in cui ci sia un default mal gestito – ha affermato -. E’ la lezione che abbiamo imparato dalla Lehman, il fallimento più caro della storia. Non vogliamo ripeterlo».
Oggi la commissione economica dell’assemblea comunitaria esprimerà il suo giudizio, in vista del pronunciamento della plenaria della prossima settimana. Scontato l’esito, il Ppe ha annunciato un voto positivo, come l’altro grande gruppo, quello di socialisti e democratici. Poi il dossier volerà sul tavolo dei capi di stato e di governo il 23 e infine ancora su quello dell’Ecofin. Il passaggio del testimone con Jean-Claude Trichet è previsto a novembre. «Le auguriamo il meglio in questi tempi turbolenti», è stato l’auspicio arrivato da casa Libdem.
Turbolenti davvero. Mentre Draghi raccontava il passato e disegnava il futuro in Parlamento, i ministri economici dell’Eurozona (Tremonti per l’Italia) erano riuniti a poca distanza per vedere che fare per la Grecia che rischia la bancarotta. Nessuna decisione, molte tensioni, niente intese, voci credibili di una riunione straordinaria domenica a Lussemburgo in vista di quella già programmata per lunedì. Si corre contro il tempo. Berlino vuole una ristrutturazione settennale con la partecipazione delle banche agli oneri, la Commissione Ue sta lavorando a un soluzione ponte volontaria e la Bce teme ogni sorta di diktat fiscale dall’alto.
L’audizione di Draghi è cominciata proprio con l’attualità, con le esigenze del debito col peggior rating del mondo. I costi di una bancarotta, ha puntualizzato il governatore, «sarebbero maggiori dei benefici», perché «un default non risolve il problema in quanto lascia il deficit primario da finanziario», e perché se si fa l’«haircut», cioè si costringono le banche a pagare una parte del conto, poi «serve molto denaro per ricapitalizzarle». E’ un’incognita, «non sappiamo cosa succede davvero con un default di un debito sovrano», e nulla sul possibile contagio. La via, assicura, è quella del risanamento e delle riforme. «Ho fiducia che si possa fare», ha detto agli eurodeputati.
Per convincerli, Draghi ha pescato nella crisi italiana del 1992, quando il bel Paese «stava peggio della Grecia», col deficit all’11% del pil, il debito al 120. «Ogni mese – rammenta l’allora direttore del Tesoro – dovevamo emettere titoli per un importo tre volte superiori a quelli greci». L’Italia, però, ce l’ha fatta. E questo è un segnale che può funzionare anche per Atene se punta su riforme e la competitività. «Serve la crescita – è il messaggio -, perché con la crescita si paga il debito».
Lungo il confronto sulle regole e sulla governance economica di un’Unione «in mezzo al guado». Numerosi i riferimenti, anche polemici, agli anni a passati alla Goldman Sachs, sopratutto da verdi e sinistra-sinistra che gli chiedevano se non potesse essere una possibile fonte di conflitto di interesse. «Sono stato morbido con le banche? Chiedetelo a loro», li ha rintuzzato, spiegando che «anche se Goldman Sachs si aspettava che lavorassi con i governi io non ero interessato e ho lavorato nel settore privato».
Ecco la necessità di «una vigilanza che deve andare a fondo» e l’esigenza di trattare «chiunque faccia il mestiere di banca come una banca, perché occorrono regole uguali per chi si carica rischi uguali». Chiaro che per Draghi l’ordine da mantenere sui mercati è cruciale come l’azione della Bce per il controllo dell’inflazione, così come dettato dai Trattati. Lo ripete con foga, tanto che qualcuno solleva il caso della sua “germanizzazione”. Macché, risponde lui, «sono italiano: è vero che molti giornali tedeschi mi hanno rappresentato come un piatto di pasta; ma quando ho parlato ho sempre ripetuto quello che dico da tutta una vita».

Fonte: La Stampa del 14 giugno 2011

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