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Servono subito tagli intelligenti:iniziamo dalle Province

Si aspettavano i tagli, è arrivata una commissione: sarà lo strumento eccezionale per risolvere, o la proverbiale scappatoia per insabbiare? Vedremo i tagli della spending review, o si ritornerà ai tagli lineari? «Un ministro non può entrare nella gestione di un altro ministero»: così li giustifica Giulio Tremonti sul Corriere della Sera.
Non si può entrare perché la “gestione” dei ministeri, cioè il modo in cui opera l’amministrazione, è regolata da una costruzione giuridica complessa, da un intreccio impenetrabile di leggi e regolamenti. (Quando il divieto di entrare non vada inteso in senso non metaforico: come raccontano sia successo nei giorni scorsi). Se non ci si muove correttamente, fuori ci sono i giudici, amministrativi e ordinari, e la loro giurisprudenza. Ogni norma, per inutile o dannosa che sia – e probabilmente così è nella maggior parte dei casi– è scolpita in una pietra, che a sua volta ne sostiene altre. Si dice resistenza ai tagli e si pensa a quella delle corporazioni che vedono minacciati i loro interessi e condizionano i politici: ma alla fin fine, che si tratti di pensioni o di art. 18 (e perfino di taxi) qualche pietra si finisce per smuoverla. Invece la resistenza più sorda è quella a metter mano alle costruzioni giuridiche su cui poggiano le pietre delle norme.
Gli scribi le hanno scolpite, i sacerdoti le interpretano: bisognerebbe cambiare la loro cultura giuridica, ma questa è il loro patrimonio. Stanno dentro i ministeri, che “gestiscono” in senso tremontiano, e stanno dentro il Governo, che è stato formato facendo ad essi largo ricorso.
Se questo è il problema, ce la farà la commissione? Tra le eccezionali capacità di cui testimonia la biografia di Enrico Bondi, non figura la conoscenza dei meccanismi di “gestione” della pubblica amministrazione, né l’elaborazione di una visione di quello che deve fare lo Stato.
Il suo carisma è eccezionale, ma la burocrazia è allenata a protratte resistenze. Quanto a Giuliano Amato e Francesco Giavazzi, daranno, ciascuno nel suo specifico settore, precise indicazioni: chi e come le porterà ad effetto? Non è raddoppiando il profilo tecnico del governo che si trova la forza cambiare il paradigma culturale anche di una singola articolazione dell’amministrazione: quello è un problema politico. Come in un’azienda il cambio di strategia lo fa il Ceo e non il capo del personale, men che mai il consulente, così questo compito se lo deve intestare il capo del Governo in prima persona: è da lui che i collaboratori traggono la forza necessaria, non viceversa. Monti ha davanti a sé un tempo breve e definito. Non verrà ricordato per i dossier di raccomandazioni che lascerà a chi verrà dopo. Deve scegliersi un obiettivo, uno che oltre a dare risparmi, sia emblema visibile di un cambiamento irreversibile: e mirare a quello con totale determinazione.
Se si vuole sfoltire, non serve potare le foglie, bisogna tagliare i rami: scelga quelli che hanno il rapporto più favorevole tra risultato di sfoltimento e fatica di tagliare. Azzardo una proposta: tagliare i rami laterali, i governi intermedi, gli enti a cui sono attribuite competenze sul territorio. Incominciando dalle province: dopo che altri ne hanno tanto parlato, sia lui quello che le abolisce, senza attendere la modifica costituzionale (basta lasciarne un paio). E continuando con le comunità montane inutili, i consorzi, le aree di sviluppo industriale: si stimano in più di mille le aziende costituite da regioni e comuni per svolgere compiti propri delle amministrazioni. Una duplicazione funzionale che impedisce che le norme siano semplificate o abolite, una intermediazione politica opaca e costosa, che leva spazio alle organizzazioni sussidiarie espresse dalla società civile. È vero che queste sono competenze di Regioni e Comuni: ma là dove ci sono trasferimenti, il Governo ha potere per intervenire. Ancor più quando ciò serve a rispondere a precise richieste dell’Ue.
Le province potrebbero essere per Monti quello che è stato per Amato l’azzeramento in una notte dei consigli di amministrazione di Iri ed Eni, per Dini le pensioni, per Prodi le privatizzazioni. Si sono presi anche critiche, sono stati necessari completamenti e correzioni, ma dopo non è più stato lo stesso: perché si è visto che cose che si ritenevano impossibili potevano essere fatte.

Fonte: Sole 24 Ore del 3 maggio 2012

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