• martedì , 3 Dicembre 2024

Ritratto sincero di un paese

Le parole del governatore sono applaudite da tutti. Il giorno dopo dimenticate da molti. Speriamo che almeno questa volta non sia così, perché Draghi ha detto più di quello che, con concretezza e lucidità, ha scritto. Una grande relazione. In sintesi. La lezione della crisi finanziaria è una sola: la colpa è del vuoto regolamentare americano e l’azzardo morale va sanzionato. Duramente. Le nuove regole sono però ostacolate («Anche da molti di voi presenti») perché, si dice, freneranno la ripresa. Non è così. Dall’euro non si esce, ma si rafforzi il patto di stabilità e crescita. Non c’è solo la disciplina di bilancio. Se un Paese non fa le riforme necessarie a tutti, lavoro e istruzione per esempio, può ricevere una sanzione anche politica: la perdita del voto in sede comunitaria. L’ultima manovra del governo era necessaria e inevitabile, ma è incompleta. Si propone lodevolmente di contenere l’espansione della spesa pubblica all’1 per cento nel biennio 2011-12. Nota il governatore: negli ultimi dieci anni è cresciuta al ritmo del 4,6 per cento ogni dodici mesi.
Di colpo virtuosi? Speriamo. Se l’Italia ha sopportato meglio di altri la crisi, il merito è soprattutto della politica monetaria, meno del governo. L’estensione degli ammortizzatori sociali, però, è stata corretta ed efficace. La manovra agisce seriamente sulla spesa previdenziale (finestre ed età pensionabile), ma potrebbe abbassare il già debole tasso di crescita. Il rischio è una seconda recessione. «Macelleria sociale è l’evasione fiscale ». Solo di Iva si evadono trenta miliardi l’anno. Se l’avessimo pagata regolarmente in questi anni, il livello del debito sul prodotto lordo sarebbe fra i migliori d’Europa. Più forti dei tedeschi. L’evasione va combattuta, e il governo, ammette Draghi, si sta impegnando. Le risorse recuperate riducano le aliquote, specie sul lavoro. L’altro grande ostacolo (macigno) alla crescita è nell’espansione della criminalità organizzata e nella diffusione della corruzione. La prima incancrenisce le istituzioni e attenta alla libertà e all’incolumità dei cittadini; la seconda umilia il merito, distorce il mercato, deprime la crescita. Chi paga il conto più elevato della crisi? I giovani, le vere vittime. La riduzione degli occupati, nella fascia tra 20 e 34 anni, è stata sette volte superiore a quella degli anziani; le nuove assunzioni sono diminuite del 20 per cento; i salari d’ingresso sono fermi a 15 anni fa. E non è vero che facendo lavorare di più chi sta tra i 55 e i 64 anni (occupato solo il 36 per cento, la media europea è al 46) le opportunità per i giovani diminuiscono. Alcuni Paesi nordici lo dimostrano. Il mercato del lavoro va riformato con lo sguardo rivolto ai giovani e a chi ha meno diritti. Federalismo fiscale? Sì, purché chi spende troppo e male, paghi.
Oggi spesso viene rieletto. La riforma universitaria va nella direzione giusta. Le debolezze della nostra economia sono note, ma i punti di forza non sono pochi (risparmio privato, rapporto tra patrimonio e reddito tra i più elevati in Europa, debito estero tra i più bassi). Il vero problema è che la produttività non cresce. Il filo che unisce tutta la relazione di Draghi si può riassumere così. Il coraggio al Paese non è mancato in momenti più difficili. Perché dovrebbe venir meno ora? La crisi a livello internazionale richiede cooperazione nella responsabilità. Perché dovremmo dividerci proprio noi sulle scelte più importanti per il futuro del Paese? Non si tratta di vagheggiare improponibili governi di unità nazionale o di larghe intese, ma almeno di sperare che maggioranza e opposizione si confrontino un po’ di più sui contenuti, nella consapevolezza di far parte (tutti) della stessa comunità. È troppo sperarlo?

Fonte: Corriere della Sera 1 giugno 2010

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