• martedì , 3 Dicembre 2024

Quando si rompe la moneta unica

IL MARTEDÌ nero dei mercati dimostra che la crisi greca non è risolta e potrebbe tradursi in prospettiva in una crisi dell’ euro. Alla crisi della Grecia sono state dedicate pagine e pagine. C’ è, però, da chiedersi perché quasi nessuna previsione sia stata invece azzardata, appunto, sulle conseguenze politiche di una crisi della moneta unica, qualora non venisse imbrigliata anche per il futuro dalle annunciate misure del Consiglio europeo. Il primo quesito che pongo riguarda il cosiddetto “pericolo di contagio”. Non c’ è alcuna certezza che la crisi si concluda sulle rive dell’ Egeoe che, una volta entrato in funzione il meccanismo di soccorso, altri paesi non si trovino costrettia lanciare a loro volta il segnale di Sos. I giornali non hanno risparmiato previsioni sulle difficili condizioni finanziarie di Portogallo, Spagna e Irlanda. Qualcuno ha anche ricordato che il debito pubblico italiano toccherà quest’ anno quota 117 in rapporto al Pil. Quello che, però, nessuno dice è che se ci sono voluti tre mesi di sofferte trattative per far convogliare un flusso di 110 miliardi di euro verso la Grecia, suscitando una crescente tensione nell’ opinione pubblica del paese chiamato a fornire l’ aiuto più consistente, cioè la Germania, come si pensa di affrontare le crisi assai più consistenti degli altri Paesi maggiormente esposti? C’ è qualcuno che pensi basterebbe rovesciare di nuovo bordate di ingiuste accuse sulla Germania per ottenere una soluzione analoga a quella greca, ma di proporzioni più imponenti? Perché mai i tedeschi che hanno portato l’ età pensionabile a 67 anni per far quadrare i loro conti pubblici, dovrebbero auto infliggersi un balzello per salvare paesi che hanno preferito fin qui il sollievo di una finanza allegra (le pensioni in Grecia scattano a 61 anni)? Per capire ciò che sta accadendo è necessario percepire quale mutamento si stia producendo nelle opinioni pubbliche europee. Fino ad oggi la creazione della moneta unica si era svolta attraverso un miracoloso succedersi di tappe positive, a partire dal 1° gennaio 1999 quando prendeva avvio l’ Unione monetaria e venivano fissati i tassi di conversione di ogni moneta con l’ euro. Da allora i cittadini europei hanno finito per percepire la nuova moneta non solo come l’ unico successo europeo nei tempi recenti, ma anche come qualcosa di irreversibile. È pur vero che l’ irreversibilità era stata in qualche modo istituzionalizzata dal fatto che gli autori del Trattato di Maastricht avevano volutamente eluso la questione, evitando di definire norme di uscita o di espulsione dall’ euro. Una decisione che, pur non ignorando la zoppìa (per dirla con Ciampi) insita in un governo della moneta che non aveva alle spalle un governo dell’ economia, presupponev a u n s u o s u p e r a m e n t o volontaristico, indotto dall’ esigenza stessa di un funzionamento organico – e, quindi, economico e non solo monetario – dell’ Europa unita. Una ipotesi che almeno finora non si è realizzata e che appare oggi più lontana di ieri. Nel frattempo è stato commesso un errore strategico con conseguenze che appaiono ogni giorno più gravi, l’ allargamento dell’ Unione europea, senza averne prima rafforzato le strutture e l’ ampliamento dell’ Eurozona da 11 a 16 con l’ ammissione, fra l’ altro (oltre a Slovenia, Cipro, Malta e Slovacchia) della Grecia, grazie alle carte false presentate dal suo governo. La zoppìa che non avrebbe probabilmente messo in pericolo una Unione monetaria poggiata su economie grosso modo compatibili si è così tramutata in una sintomatologia patologica. A questo punto è scoppiata negli Stati Uniti, e si è rapidamente estesa al resto del mondo, la più grave crisi finanziaria dopo quella del 1929. Il rimedio per fronteggiarla è consistito principalmente nel ricorso all’intervento pubblico.
L’indebitamento degli Stati è così cresciuto a dismisura. In questo contesto siè verificata la crisi greca, con ripercussioni su tutta l’ Unione europea. Ora ci si chiede se non ci troviamo di fronte a una dinamica simile a quella della Grande Depressione, quando, dopo i picchi più drammatici dell’ autunno del ‘ 29, culminati nel Giovedì nero (24 ottobre), essa sembrò lentamente riassestarsi, per poi, invece, precipitare di nuovo, allorché prima la Germania e poi l’ Austria furono invase da un’ epidemia di fallimenti bancari. Di fronte a una crisi che si manifesta oggi con l’ insolvenza del debito pubblico, in altri termini con l’ incapacità di uno Stato di far fronte al rimborso dei titoli alla loro scadenza, ci si scontra con una contraddizione insoluta: lo Stato insolvente ha in comune la moneta con tutti gli altri paesi dell’ Eurozona e non può, quindi, stampare carta per conto proprio e saldare i debiti con moneta svalutata. Solo la solidarietà dei soci può trarlo dai guai, ma questa solidarietà non è stata mai compiutamente istituzionalizzata. Anche i vincoli di Maastricht hanno perso la loro forza coercitiva da quando i due maggiori contraenti, Germania e Francia, li hanno violati. L’ Europa di fronte alla crisi è unita a metà. Anche il tentativo di darsi una Costituzione è fallito per il No al referendum dell’ elettorato francesee olandese. Dietro l’ euro non c’ è dunque un paese, sia esso unitario, confederale o federale, ma solo una banca centrale con un obbiettivo, la stabilità, che è stato fino ad oggi rispettato e rappresenta il suo maggior elemento di forza e anche di unità (nessuno più immagina l’ euro come un paniere di diverse divise ma come una moneta unica). Resta il fatto che il soccorso alla Grecia ha fatto suonare una campana che tutti credevamo ormai muta: quella della rimessa in discussione dell’ euro. Può un paese uscirne per iniziativa propria o dei suoi partner? E non essendovi una procedura che lo contempli, quale può essere la strada se non un precipizio catastrofico con un copione da inventare lì per lì? Oppure seguendo la dubbiosa incognita dell’ articolo del Trattato di Lisbona che definisce l’ uscita unilaterale dall’ Unione? E questa uscita può restare limitata ad un paese solo o,una volta rimessa mano ad un restauro,non sarà il caso di procedere ad un consolidamento del nucleo più forte ed omogeneo, lasciando gli altri in un limbo più debole e fluttuante? Si vorrebbe non credere a nessuna di queste ipotesi ma nessuno può garantirlo. Per questo le frasi sfuggite (?) alla Merkel sulla cacciata di Atene dall’ Eurozona o il dibattito che si è aperto sulla stampa inglese su un progetto di divisione dell’ euro in due, l’ uno forte, il “neuro”e l’ altro debole, il “sudo”, regolati da un tasso fluttuante di cambio, non dovrebbero essere lasciati cadere, come pure curiosità di stagione. Una rimessa in discussione dell’ euro, qualunque sia il modo in cui avverrà e se avverrà, potrebbe, infine, avere per l’ Italia conseguenze catastrofiche. Non siamo più il paese degli anni Novanta. Il modo abbastanza dissennato in cui si è proceduto verso il federalismo e, infine, il peso determinante della Lega sugli indirizzi della politica governativa, lasciano prevedere pericoli crescenti per il mantenimento dell’ unità nazionale, una volta venuto meno il contenitore di un euro a tenuta stagna. Come oggi i tedeschi nei confronti dei greci, così in un domani con un euro incerto,i veneti,i lombardi e, perché no? in un futuro prossimo anchei tosco-emiliani, potrebbero essere indottia rivendicare una omogeneità monetaria con bavaresi e fiamminghi, piuttosto che con calabresi o siculi. In altre parole, ormai l’ unità d’ Italia è condizionata dall’ unità e dalla tenuta dell’ euro. Se questa si spacca o va in frantumi, c’ è il rischio che la nostra penisola troppo lunga ne segua le sorti.

Fonte: Repubblica 5 maggio 2010

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