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Porre fine alla guerra civile per Prodi e’ un’opzione. Per il Paese e’ una necessita’

Un Parlamento spaccato in tre, sostanzialmente ingovernabile. Un partito, il Pd, che perfino i non simpatizzanti, ancora consideravano comunque affidabile e politicamente avveduto, lacerato da divisioni interne, attraversato da faglie che si intersecano, guidato in modo ad un tempo erratico e cocciuto. L’entrata in scena di una forza, il M5S, che programmaticamente si contrappone alla forma del sistema di rappresentanza parlamentare. Personaggi che hanno alle spalle una lunga storia politica e che accettano di essere candidati in base a sondaggi tra frequentatori di un web, non si sa quanti né come selezionati. E si potrebbe continuare, con lo sfarinamento di chi avrebbe dovuto rappresentare una soluzione nuove, e l’arroccarsi della destra. Questo mentre il Paese è nella situazione che conosciamo. Mai come adesso c’è stato da temere il peggio.
La candidatura di Romano Prodi sembra aver fatto ritrovare al Pd l’unità (anche se dai plebisciti istintivamente si diffida). E un po’ di dignità: perlomeno il nome l’ha proposto e non se l’è fatto imporre. Molti che nei giorni scorsi provavano scoramento, al solo annuncio si sentono sollevati. Se, come tutto lascia pensare, Prodi verrà eletto, penseranno che la fase più acuta sia stata superata: basta non illudersi che sia passata la malattia.
Il Paese sta slittando in basso: come reddito siamo tornati indietro al 1997, la pubblica amministrazione è sfilacciata, basti pensare alla vicenda dei pagamenti dei debiti pregressi, il modello produttivo è messo in crisi da tecnologia e globalizzazione, il modello di welfare non regge e meno ancora reggerà. Le famiglie consumano quanto hanno accumulato negli anni passati. La perdita di competitività, e il cumulo del debito, sono l’integrale degli errori politici passati, che risalgono a molti decenni fa. Questi problemi, la spaccatura del Paese seguita alla discesa in campo di Silvio Berlusconi li ha acuiti, o almeno ha impedito di porci rimedio. Volevamo il bipolarismo, abbiamo avuto la guerra civile. Vent’anni di veleni sparsi a piene mani, di divisioni antropologiche, di battaglie condotte con tutti i mezzi. Se il Paese ha qualche speranza di salvarsi, è solo se chiude questa guerra.
Prodi è stato uno dei due protagonisti di questa guerra. Prodi potrebbe essere quello che vi mette fine. Saprà farlo? Saprà essere il Generale che consegna in caserma i paracadutisti? Sarà il politico che mette il suo orgoglio nell’essere quello che riscrive il patto costituzionale, e pone mano ai cambiamenti istituzionali che proprio le vicende recentissime dimostrano imprescindibili? Prodi è anche quello che ha portato l’Italia nell’euro; ma Prodi è anche quello che aveva dichiarato “stupide” le norme su cui si regge il suo patto fondante. Il rapporto con l’Europa è cruciale nei mesi e anni che abbiamo di fronte: Monti l’aveva ricucito accettando l’ortodossia luterana, ma ora anch’esso di essere ripensato, le prossime elezioni in Germani potrebbero aprire una finestra di opportunità.
In un mondo ideale, Prodi queste cose le dovrebbe dire prima di essere eletto. In un mondo irreale, anche l’altra parte della guerra civile dovrebbe dimostrare la propria disponibilità, astenendosi dal giudicare. Ma queste cose in politica non accadono, ed è giusto e normale che sia così.
Però il problema rimane. Porre fine alla guerra civile, per Prodi è un’opzione. Per il Paese è una necessità.

Fonte: Huffington Post del 19 aprile 2013

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