• domenica , 6 Ottobre 2024

Perchè le banche tornano a tremare

Fino a due settimane fa era ‘Tina’ ad assicurare sonni tranquilli a tutti coloro che hanno in portafoglio titoli di stato irlandesi, portoghesi, greci, spagnoli e italiani. Sogni d’oro, si direbbe, visto che si tratta dei titoli di stato che offrono oggi i rendimenti più generosi. ‘Tina’ non è una dolce fanciulla ma il frutto della passione anglosassone per gli acronimi. Sta per ‘There Is No Alternative’, il che vuol dire che costi quel che costi in termini di tagli ai conti pubblici e pace sociale, non c’è alternativa al rimborso a prezzo pieno dei titoli emessi dagli stati spreconi dell’area euro. Era una certezza, garantita dal patto implicito sottoscritto dalla Banca Centrale Europea con il sistema, finalizzato a tenere in piedi allo stesso tempo le banche e i conti dei paesi in difficoltà. Quell’accordo implicito lo si può sintetizzare più o meno così: voi banche siete piene di buchi e con i tassi così bassi non guadagnate un euro, io Bce vi presto tutti i soldi che volete all’1 per cento e voi li investite in titoli di stato, anche di quelli meno affidabili che rendono assai di più. In questo modo voi banche guadagnate e potete tappare i vostri buchi e gli stati possono rifinanziare il loro debito vecchio e farne anche un po’ di nuovo senza destabilizzare i mercati. L’obiettivo della Bce è trasparente: garantire la stabilità del sistema bancario e anche, implicitamente, l’affidabilità creditizia dei paesi dell’euro. L’interesse di banche e paesi emittenti lo è altrettanto: le prime fare i bilanci e i secondi evitare di pagare troppo il denaro necessario ad andare avanti.
Un gioco sicuro, che ha permesso a chi ha investito in titoli pubblici non solo di dormire sonni tranquilli ma anche e soprattutto di guadagnare miliardi. Fino al 29 ottobre scorso. Quel giorno, la padrona vera dell’Europa, la signora Angela Merkel, ha detto che così non va, che se c’è un interesse della finanza alla stabilità dei mercati c’è anche un interesse della politica, ragion per cui quel patto si deve stracciare e il prezzo della crisi lo devono pagare non solo i poveri cittadini ma anche quei signori che hanno guadagnato miliardi speculando sui titoli pubblici. La signora Merkel non ha usato esattamente questi termini, ma il concetto è quello, ribadito peraltro anche giovedì al G20 di Seul.
In parole povere, la dolce ‘Tina’ non è più tra noi a rassicurare i nostri sonni perché in realtà ‘There is an alternative’, c’è un’alternativa. Quale? Ristrutturare i debiti sovrani, ovvero rimborsare i titoli non più al valore facciale di cento ma ad uno inferiore, oppure allungarne sostanzialmente le scadenze abbassando al contempo il rendimento. In sostanza ridurne il valore, quello che i soliti anglosassoni chiamano ‘haircut’ il taglio di capelli. Voi, spinti dall’avidità di guadagno, avete scelto di rischiare investendo in titoli emessi da paesi con bilanci disastrati e per questo rischio avete incassato cedole più ricche: ebbene quel rischio si sta concretizzando, perderete anche voi una parte del capitale investito.Politicamente la posizione è più che sensata, e moralmente in parte anche. In parte però, poiché l’accordo implicito sponsorizzato dalla Bce di cui abbiamo parlato sopra serviva anche a tenere in piedi le disastrate banche francesi e soprattutto tedesche, i cui portafogli sono pieni di titoli greci, irlandesi e portoghesi (di questo la signora Merkel non si è forse ricordata). Se tuttavia la posizione è sensata, gestirla è assai più complicato di quanto sembri, e infatti il rischio sovrano, il problema dei Pigs (ove la ‘i’ sta per Irlanda), la stabilità dell’euro sono tornati al centro dell’attenzione, i prezzi dei titoli di Irlanda e Portogallo, Spagna e Grecia hanno cominciato a scendere e i tassi di interesse a salire, incuranti delle rassicurazioni che l’eventuale nuova politica di marca tedesca, se fosse fatta propria dall’Europa intera, entrerebbe in vigore solo nel 2013 e solo sui titoli pubblici emessi da quella data in avanti.
Come se il de profundis di ‘Tina’ cantato dalla cancelliera non fosse bastato, mercoledì della scorsa settimana ci si è messa anche LCH.Clearnet, una delle più importanti stanze di compensazione europee, la quale ha richiesto un deposito a garanzia del 15 per cento a tutti coloro che operano in titoli di stato irlandesi. Un provvedimento che comporta per gli operatori la necessità di tirare fuori nel giro di pochi giorni centinaia di milioni di euro in contanti per versarli nelle casse di LCH.Clearnet. Poiché tutti quei milioni molti degli operatori non li avevano, la reazione è stata di precipitarsi a vendere titoli irlandesi facendone crollare il prezzo.
L’effetto congiunto della posizione della Merkel e della decisione di LCH è la tempesta che sta scompaginando in questi giorni il mercato dei debiti sovrani.
Ma la coda di passaggi come questo è lunga e il punto di arrivo è il solito: le banche. Quelle italiane per esempio, che pure hanno poco nulla a che fare con i titoli irlandesi, la scorsa settimana hanno perso tra il 5 e il 7 per cento in Borsa. Il meccanismo che le ha colpite è tanto semplice quanto perverso. E’ il frutto del combinato disposto di due fattori, uno sostanziale ed uno congiunturale (ma neanche tanto). Cominciamo da quello congiunturale. Le banche italiane, che vivono soprattutto di prestiti alla clientela, con i tassi bassi guadagnano pochissimo e per rimpinguare i bilanci utilizzano ampiamente gli spazi creati da quell’accordo implicito con la Bce: prendono a prestito soldi dalla Banca Centrale Europea all’uno per cento e li investono in Bot e Cct al 2 e anche qualcosa in più. Gli investimenti in titoli di stato non rientrano in Basilea II, non ‘occupano’ quindi capitale e il reddito è sicuro. Ebbene quella parola ‘sicuro’, da quando Angela Merkel ha messo in pensione ‘Tina’, non vale più. I valori di alcuni titoli di stato italiano potrebbero rivelarsi più bassi di quello che sono stati pagati e se si dovesse fare il famoso ‘mark to market’ ovvero riportarli in bilancio ai prezzi di mercato invece che ai valori a scadenza le perdite potrebbero diventare significative. I mercati lo sanno e quindi speculano al ribasso sulle banche italiane, che è un modo indiretto ma molto semplice di speculare al ribasso sui titoli di stato italiani.
Passiamo ora al fattore sostanziale. Le banche, come si è detto, guadagnano pochissimo in questa fase con la loro attività tradizionale, ma se il rischio paese aumenta rischiano di guadagnare ancora meno. Oggi il loro maggior concorrente nella raccolta è lo Stato, che drena risparmio per finanziare il suo deficit, e se i costi di raccolta dello Stato salgono perché aumenta il prezzo del rischio sovrano, cresce inevitabilmente anche il costo della raccolta delle banche. La conseguenza è che i margini si riducono e gli utili, di conseguenza, anche.
La prima conclusione di tutto ciò per il sistema creditizio italiano è che i tempi difficili dureranno ancora a lungo e per rivedere utili massicci si dovranno aspettare anni. La seconda è che operare in un paese con un debito pubblico così alto ha un costo enorme per tutti, banche comprese.
Allargando lo sguardo all’Europa la conclusione della tempesta potrebbe essere ancora più drammatica. I mercati già scontano una ristrutturazione del debito greco, irlandese e portoghese, e potrebbero allargarsi a quelli spagnolo e italiano (nonché, uscendo dall’area euro, a quello inglese e chissà, anche quello americano). Se si dovesse arrivare davvero a quel punto si aprirebbero due capitoli pesanti,il primo sulla capacità di quei paesi di finanziare sui mercati il nuovo deficit e il secondo sulla tenuta dei bilanci delle banche. La soluzione a quel punto sarebbe di tipo americano, ovvero la Bce come la Fed dovrebbe intervenire stampando moneta. Ma tutti sappiamo che la Germania ad una soluzione del genere non ci starà tanto facilmente, e allora ancora più di adesso si tornerà a parlare di tenuta dell’euro, della sua capacità di mantenere i confini attuali e del rischio che alcuni vagoni non possano fare altro che sganciarsi.

Fonte: Affari e Finanza del 15 novembre 2010

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