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Perchè il “nuovo” Tremonti non piace più a Pdl e Lega?

“È difficile chiedere ai capponi di votare per l’anticipo del Natale”: in questa battuta quasi demoralizzata che Giulio Tremonti, ministro dell’Economia, ha regalato alla platea della festa della Cisl a Levico, c’è il dramma quasi antropologico (e non solo italiano) dell’inconciliabilità tra principio democratico e gestione democratica delle crisi collettive.
La storia decanta la battuta di Churchill agli inglesi “vi prometto lacrime e sangue”, come modello di comunicazione politica insieme drammatica e matura, consapevole. Sbagliato, però, dimenticare che i sibili degli Stukas sui cieli della Gran Bretagna rendevano tutti ben informati che quelle lacrime e quel sangue erano baci e carezze a confronto con ciò che avrebbe elargito Hitler se avesse vinto.
Tremonti alludeva ai privilegi economici dei parlamentari e alla sua decisione di varare, sì, l’allineamento al ribasso ai valori medi europei, ma solo dalla prossima legislatura, per non pretendere che gli attuali beneficiari di quei vantaggi se ne amputino da subito con un gesto volontario tanto nobile quanto improbabile. Ma è questa stessa logica che ha ispirato il ministro – ha raccontato mille volte lui stesso – nell’optare per la strada di varare “tagli lineari” alla spesa pubblica, anziché incidere sulle voci più improduttive: “I tagli lineari non piacciono neanche a me. Ho lasciato a ogni ministero la possibilità di scegliere. Ma ognuno voleva tagliare i soldi degli altri”. Già: le lobby, anche le più piccole, ma tutte potenti e interdittive.
Forse non è un caso che in Italia l’unica riforma davvero epocale attuata negli anni del risanamento e dell’aggancio all’euro sia stata quella previdenziale, talmente seria e avanzata da essere rimasta immune da qualsiasi successiva critica ed essere tuttora considerata modello in Europa: ma l’hanno decisa le generazioni al potere a carico di quelle future, sono stati i quaranta-cinquantenni a stabilire che loro sarebbero ancora andati in pensione con il 75% dell’ultimo stipendio, appena il 5% meno dei loro padri, mentre ai loro figli sarebbe toccato il 50% dell’ultimo stipendio, cioè il 30% in meno rispetto ai padri. E l’hanno deciso senza farlo scrivere ai giornali, senza farlo sapere alla gente. Perciò è passato.
Il destino di Tremonti è abbastanza tracciato. Lui si sgola a ripetere come, nelle strettissime compatibilità date dal quadro economico globale in cui naviga quello italiano, il taglio delle tasse e tutte le altre misure di maggior spesa o minori introiti necessarie per rilanciare la ripresa sono processi delicati, lenti e lievi. E cita Cavour: “Energica moderazione sulla via del progresso”. Ma le citazioni colte proprio non bastano ai fini elettorali. E il missile terra-terra lanciato contro la troppa prudenza di Tremonti da Roberto Maroni – per la prima volta un esponente di spicco del gruppo dirigente della Lega che critica il ministro preferito dai Lumbard – rivela che anche il lider maximo Bossi, di fronte all’emorragia elettorale, deve fare qualcosa.
Non bastano più le chiacchiere, non bastano più le promesse a lungo termine. La Lega aveva fatto incetta di consensi promettendo i tagli alle tasse, un federalismo fatto di meno soldi ai terroni e niente immigrati clandestini. La storia fa sì che i clandestini approdino a frotte quotidianamente sulle nostre sponde e le tasse siano ai massimi. E il federalismo? Dov’è finito il potere risanante del federalismo? È finito nell’inferno delle bugie. Ancora una volta: non le bugie di Tremonti, ma quelle dei capipopolo leghisti.
È chiaro che il federalismo sarà benefico alle finanze pubbliche – questo l’ha sempre sostenuto anche Tremonti -, ma lo sarà tra cinque o meglio dieci anni, quando finalmente – superati tutti i gradualismi necessari appunto affinché chi subisce il danno delle scelte di oggi sia diventato altra persona da chi le ha fatte – una siringa dovrà costare 1 euro in tutta Italia e non 1 euro in Lombardia e 3 euro in Campania, pena l’impossibilità della Campania di comprare siringhe e la necessità dei campani di andarsi a far pungere altrove o di cambiare i loro governanti; o, ancora, quando l’emergenza rifiuti a Napoli sarà un problema solo di Napoli e della Campania e non di tutto il Paese.
Ma questa purga sociale non genererà i suoi effetti entro il 2013, quando – in teoria – si dovrà tornare a votare per le politiche. Li genererà molto più avanti, quando non saranno più utili a Bossi per farsi rieleggere. E comunque il federalismo “a posteriori”, come questo che si vuole introdurre in Italia, non avrà alcuna somiglianza con la secessione, ancora oggi obiettivo scolpito nell’articolo 1 dello Statuto della Lega e mai rinnegato, ma sarà al confronto un brodino da convalescente.
Tremonti non vuole aumentare troppo l’Iva, perché sa che colpirebbe anche i redditi bassi e sarebbe molto “di destra”, come misura. Ma allora non è dalle imposte indirette che può ricavare le risorse con cui compensare il taglio delle imposte dirette, quelle sul reddito. Non può che confidare ancora nel recupero dell’evasione fiscale – che però è un valore aleatorio, una “x” tutta da valutare – e nel disboscamento della giungla delle agevolazioni fiscali, operazione forse più facile, perché nelle quasi 500 norme che la compongono non si raccapezzano più neanche i commercialisti, figuriamoci i parlamentari, e ben pochi tra i senatori e i deputati riusciranno a capire in anticipo se la misura che sta approvando alla Camera o al Senato colpirà o premierà i suoi elettori… Un po’ come la faccenda della riforma previdenziale, governare per formule iniziatiche, unica strada per farsi approvare sacrifici. Ma anche il riordino delle agevolazioni non può creare chissà quale gettito. Insomma…
Ma di una cosa va dato atto a Tremonti, almeno una: quando respinge con vivissima e poco dissimulata stizza l’accusa di non aver compiuto scelte politiche nella gestione della crisi, a causa della faccenda dei “tagli lineari”. Tutt’altro, fa notare il ministro: la scelta del governo è stata quella di finanziare il welfare, la cassa integrazione, i sussidi di disoccupazione. Senza, il biennio 2008-2009 sarebbe stato socialmente devastante. Finanziare quelle voci è stato possibile grazie a una precisa scelta politica, che non è stata “lineare” (se lineare significa meccanica, ragionieristica, politicamente neutra) ed è stata anzi, e paradossalmente, alquanto “di sinistra”.
Com’è “di sinistra” l’appello finale rivolto sabato da Tremonti alla platea dei giovani industriali: volete più spazi per la contrattazione aziendale (che “di sinistra” non è affatto, perché a tutta evidenza toglie potere contrattuale alle maestranze della singola impresa, non più coperte dallo scudo di una norma nazionale)? Almeno, in cambio, date una stretta agli abusi sull’utilizzo dei contratti a termine.

Fonte: Sussidiario.net del 14 giugno 2011

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